Casa all’asta: salviamola

Come evitare che la casa, oggetto di pignoramento immobiliare, venga venduta all’asta, nonostante sia stata già avanzata un’offerta di acquisto”: potrebbe intitolarsi così il film tratto da una interessante sentenza di questa mattina dalla Cassazione (Cass. sent. n. 8020/16 del 2.03.2016) , una pronuncia che suggerisce, senza troppi giri di parole, come non farsi espropriare la casa dai creditori.

Ma prima di spiegarvi la trama della pellicola, sono preliminari alcune informazioni per così dire “tecniche”.

La vendita all’asta

Quando si procede alla vendita dell’immobile pignorato con incanto, chiunque è ammesso a fare offerte, ad eccezione del debitore. La giurisprudenza ritiene, quindi, che a partecipare possa essere anche il coniuge del soggetto pignorato, nonostante sia con questi in comunione di beni. Così, per esempio, la moglie potrebbe acquistare la casa del marito messa all’asta. Lo stesso potrebbe fare un figlio, un altro parente o un socio in affari.

L’incanto ha luogo davanti al giudice dell’esecuzione, nella sala delle udienze pubbliche. Durante tale procedura, i partecipanti all’asta avanzano le rispettive offerte. Ovviamente, perché l’offerta sia efficace, essa deve superare il cosiddetto “prezzo base” bandito dal giudice.

Trascorsi 3 minuti dall’ultima offerta senza che ne segua un’altra maggiore, l’immobile è aggiudicato all’ultimo offerente. Ma non si tratta di un’aggiudicazione definitiva. Difatti, entro i 10 giorni successivi a quelli dell’asta, eventuali terzi interessati possono ancora presentare delle offerte di acquisto, anche per via telematica, a condizione che il prezzo offerto superi di 1/5 quello raggiunto nell’incanto (cosiddetto rincaro)( Art. 584 cod. proc. civ.) . Tale offerta fa automaticamente decadere quella di chi, davanti al giudice, si era aggiudicato l’immobile.

A questo punto, il nuovo aggiudicatario, per diventare proprietario a tutti gli effetti, deve versare il prezzo dell’immobile, secondo l’offerta da questi avanzata, nel termine e nel modo fissati dall’ordinanza del giudice e consegnare al cancelliere il documento comprovante l’avvenuto versamento. Ma che succede se non lo fa? Se il prezzo non è depositato nei termini, il giudice dichiara decaduto l’aggiudicatario e questi perde la cauzione (una sorta di multa). Dopodiché il tribunale dispone un nuovo incanto. Il precedente offerente, però – quello che era stato superato dal rincaro – ha tuttavia perso, ormai definitivamente, la precedente aggiudicazione parziale, nonostante colui che ha effettuato il rincaro non ha poi versato il prezzo dell’acquisto.

La moglie salva il marito (o viceversa)

Uniamo la trama dei puntini sino ad ora tracciati ed ecco che il film si concretizza in tutta la sua genialità.

Il marito è oggetto di pignoramento. La sua intenzione è quella di riacquistare l’immobile tramite la moglie, ma il prezzo di asta è ancora troppo alto; attende così una serie di ribassi. Ad un certo punto, però, arriva un offerente che lo prende di sorpresa e fa un’offerta con cui si aggiudica provvisoriamente l’asta. Lo scopo del debitore, a questo punto, è cercare di far decadere tale offerta. Fa allora intervenire la moglie che, nei 10 giorni dopo, presenta un’offerta con aumento di 1/5. Ben consapevole, la moglie, che non verserà mai l’intero prezzo. La coppia perderà la cauzione, ma non l’immobile. E così, alla successiva asta, potrà verosimilmente aggiudicarsi il bene. E rimanere dentro casa.

Non c’è turbativa d’asta

Nella sentenza la Cassazione precisa che non scatta il reato di turbativa d’asta nei confronti del proprietario dell’immobile espropriato se sua moglie, dopo l’aggiudicazione del bene da parte di altri, presenta delle offerte in aumento del quinto sul prezzo non seguite dal versamento della somma nel termine. Ci troviamo semplicemente di fronte all’uso legittimo del meccanismo previsto dal codice di procedura civile in materia di esecuzioni immobiliari. Meccanismo che può essere lecitamente attivato dai parenti del proprietario.

Nel caso di specie, per ben due volte la moglie del debitore aveva presentato istanze di aumento del quinto, successive all’aggiudicazione del bene da parte di altri, al fine di far prolungare la gara e di riottenere l’immobile messo all’asta.

Secondo i giudici della Cassazione, la multa derivante dalla perdita della caparra è già sufficiente a sanzionare tale condotta. Non scatta quindi alcun reato o altro illecito civile. Insomma, non c’è alcuno strumento fraudolento.

Così si chiude il nostro film. E chissà, come questo, quante esecuzioni immobiliari da oggi in poi…

LA SENTENZA

LA MASSIMA

Non sussiste turbata libertà degli incanti nell’ipotesi in cui, nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, le ripetute offerte di aumento di un sesto, ex art. 548 c.p.c. [oggi: quinto]  sul prezzo dell’immobile aggiudicato non vengono seguite dal versamento della somma nel termine, non configurando tale comportamento turbativa dello svolgimento della gara al fine di abbassare il prezzo dell’asta.

fonte: la legge per tutti

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