Piani di rientro bancari: interviene anche la Corte di Cassazione

Nell’attuale stato dell’economia, non esiste azienda, neppure la più sana (se non le più grandi troppo esposte), che non abbia ricevuto una richiesta di rientro da un affidamento bancario.

Normalmente il piano di rientro è il seguito di una bella raccomandata intimidatoria di ingiunzione di pagamento ricevuta dalla banca che, autocertificandosi un credito (che ora sappiamo deve essere dimostrato secondo la Corte di Cassazione con le scritture contabili bancarie), ne chiede l’immediata solvibilità.

Questo è un vero campanello d’allarme per la reale situazione patrimoniale delle banche italiane: laddove, a causa della convenzione Basilea 2, a breve sostituita dalla terza versione ancora più punitiva, una banca se presta anche solo un centesimo è obbligata a destinare ad aumento patrimoniale una parte di quanto prestato, se non ha disponibilità è costretta a richiedere i rientri. Il problema è LORO non DELL’IMPRENDITORE.

Al contrario invece ci lascia prendere dal PANICO.

Nulla di più sbagliato.

Un piano di rientro bancario deve rispondere a precise caratteristiche sancite dal Codice Civile e dalla Banca d’Italia: innanzitutto il cliente ha il diritto di avere per iscritto le condizioni economiche applicate, per verificare che siano ottemperanti a quelle previste dalla legge. Un’intimazione di pagamento che impone ad un’azienda di rientrare dell’affidato entro 1-15 giorni è legittima nella forma SOLO se a questa lettera viene seguita una pattuizione tra il cliente e la banca per pagare il debito in modo sostenibile; in caso contrario è possibile fare ricorso alle autorità perchè è ovvio che queste vessazioni porterebbero ad una effettiva compromissione dell’apparato aziendale, con un danno patrimoniale ingente, che è vietato per legge e punibile con il risarcimento che la banca è tenuta a pagare.

Oltre a questo i tassi da applicare ai piani di rientro sono calmierati dall’Ufficio di Vigilanza della Banca d’Italia: trattandosi di un taglio di un credito, gli interessi sono assolutamente più bassi rispetto a quelli utilizzati negli affidi. Il piano deve essere strutturato in modo tale da essere sostenibile e non è possibile chiedere garanzie reali.

Le banche invece che fanno?

Minacciano, sapendo di non poterlo fare, proprio per creare paura. Fanno sottoscrivere un riconoscimento del debito, oltre ad un piano di rientro dove NON ci sono le condizioni economiche applicate, lasciando intendere che con quella carta il cliente ormai ha il cappio al collo (sbagliato, il riconoscimento del debito bancario ha valore legale ma è facilmente contestabile). Pretendono garanzie reali, fideiussioni o costosissime garanzie di confidi che non intervengono neppure in caso di difficoltà. Alcune banche addirittura hanno l’ardire di scrivere un piano di rientro accettando degli assegni postdatati. Insomma, fanno al solito ciò che vogliono, fregandosene altamente di quello che legge impone e sperando sempre di riuscire nel loro gioco di terrorizzare le persone: io continuo a ripeterlo, ma dalle telefonate che ricevo devo iniziare a credere che siano parole spese inutilmente.

Ogni volta che una banca revoca un fido senza rispettare le normative, commette una serie di illeciti talmente pesanti, che basta ricordarglielo per vedere cambiare immmediatamente l’approccio.

Certo che se si vive nella paura di chissà che ti possano fare, allora siete caduti perfettamente nella loro trappola. Ed è solo colpa vostra. Perchè in realtà DOVREBBE ESSERE IL CLIENTE A PROPORRE IL PROPRIO PIANO DI RIENTRO E NON ACCETTARE PASSIVAMENTE QUELLO IMPOSTO DALLA BANCA.

Detto questo, va da se che l’ imprenditore che riceve una richiesta di rientro fido non deve assolutamente firmare alcun documento bancario ma rivolgersi ad avvocati e consulenti specializzati al fine di valutare la legittimità della pretesa creditoria della banca ed agire di conseguenza.

Se il conto corrente è stato aperto prima del 2000 vi è la certezza assoluta di potere azzerare o ridurre l’ apparente saldo debitore.

Se arriva la richiesta di rientro non bisogna firmare alcun documento predisposto dalla banca ma contestare il saldo debitore mediante la notifica di un atto di citazione corredato da una perizia tecnico contabile, rivolgendosi a professionisti altamente specializzati

Ma, non bastasse ancora, In aiuto arriva anche la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 19792 del 19/09/2014 sancisce che nel conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti

Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 19792 19-09-2014

Il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità afferma che “La ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale” (ex multis Cass. 4019 del 2006), rispetto al quale mutano soltanto le regole dell’onere della prova mediante l’astrazione processuale, senza, tuttavia, modificazioni interne all’assetto negoziale preesistente.

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Fatto

Le società […] s.p.a., […] s.r.l. e […] s.p.a. convenivano in giudizio la s.p.a Credito […] (successivamente denominato […]), evidenziando che i rispettivi saldi passivi dei conti correnti accesi con la banca, in ordine ai quali era stato concordato un piano di rientro, rispettato dai debitori, erano stati calcolati applicando illegittimamente ed unilateralmente tassi non consentiti oltre alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

Chiedevano, pertanto, la rideterminazione del saldo, detratte le somme non dovute. L’istituto bancario eccepiva l’inammissibilità della domanda in relazione al tempo trascorso dalla definizione del rapporto. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, escludendo che il piano di rientro avesse natura transattiva o novativa e ritenendo nulla esclusivamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, con conseguente riduzione del quantum debeatur.

La Corte d’Appello adita dalla banca invece accoglieva l’impugnazione affermando che, pur dovendosi escludere la natura transattiva del piano di rientro, tuttavia con esso le parti avevano voluto eliminare ogni incertezza in ordine al rapporto preesistente con conseguente efficacia preclusiva rispetto ad ogni contestazione successiva.

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione le società affidato a quattro motivi. Ha resistito con controricorso la C.A.B.. Il Banco di Brescia ha depositato memoria.

Diritto

Nel primo motivo viene dedotta l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine agli effetti del piano di rientro del novembre 1997, per avere la Corte d’Appello escluso, da un lato, l’efficacia transattiva del predetto piano e la conseguente nascita di nuove ed autonome obbligazioni, e dall’altro conferito ad esso efficacia preclusiva di ogni successiva contestazione, sul rilievo che con esso le parti avessero voluto eliminare ogni incertezza giuridica sul loro rapporto.

La contraddittorietà, ad avviso del ricorrente, è palese dal momento che l’esclusione della natura transattiva dell’atto doveva condurre alla qualificazione del medesimo nei termini di una ricognizione di debito e ad escludere la nascita di un’autonoma fonte di obbligazione.
Il motivo deve ritenersi inammissibile per mancanza della sintesi finale richiesta ex art. 366 bis, ultima parte (ex multis Cass. 24255 del 2011).

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1423 cod. civ., per avere la Corte d’Appello consentito che una clausola nulla perchè contraria a norme imperative potesse produrre effetti per il solo fatto dell’esistenza di un atto successivo tra le parti senza ben indagarne la natura.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1987 e 1988 cod. civ., per non aver correttamente qualificato il piano di rientro come ricognizione di debito ed avere ad esso riconosciuto efficacia conservativa degli obblighi preesistenti.

I motivi in quanto logicamente connessi possono essere trattati congiuntamente. Il piano di rientro, che costituisce l’oggetto pressochè esclusivo dell’esame rimesso al giudice del merito e a questa Corte, è stato qualificato correttamente dal giudice di merito come avente natura ed efficacia ricognitiva, essendone stato espressamente escluso il contenuto transattivo e quello novativo.

Da tale processo interpretativo, non censurabile in sede di giudizio di legittimità, sono, tuttavia, scaturite, conclusioni non corrette sul piano degli effetti giuridici. Una volta esclusa la natura transattiva, perchè non è stata ravvisata alcuna reciproca rinuncia delle parti alle rispettive pretese al fine di prevenire una lite, e quella novativa, non essendosi prodotto alcun effetto estintivo delle obbligazioni preesistenti nè alcun mutamento nel quadro della regolamentazione degli interessi delle parti, salva la previsione di una dilazionata scansione temporale ai fini dell’adempimento, non può farsi discendere dalla rilevata natura ricognitiva del piano di rientro la intangibilità delle clausole negoziali affette da nullità.

Con il predetto piano le condizioni negoziali preesistenti non hanno subito alcuna trasformazione o sostituzione. Non può, pertanto, essersi realizzato “l’effetto preclusivo di ogni successiva contestazione” ravvisato dalla Corte territoriale in quanto incompatibile con la natura ricognitiva dell’atto.

A tale riguardo non può confondersi l’esigenza di definire i rapporti di dare-avere tra le parti, senz’altro sottesa al piano di rientro ma qualificabile esclusivamente come intento soggettivo, con la volontà espressa ed oggettivizzata in un negozio transattivo o novativo volto a realizzare tale intento con l’estinzione delle obbligazioni in precedenza assunte e la sostituzione delle stesse con un regolamento d’interessi mutato.

Tale effetto è del tutto estraneo alla ricognizione di debito all’interno della quale, secondo l’opzione interpretativa assunta dal giudice del merito, deve essere ricondotto il predetto piano. Al riguardo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità afferma che “La ricognizione di debito, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale” (ex multis Cass. 4019 del 2006), rispetto al quale mutano soltanto le regole dell’onere della prova mediante l’astrazione processuale, senza, tuttavia, modificazioni interne all’assetto negoziale preesistente.

In conclusione il ricorso deve essere accolto. La pronuncia deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione perchè, qualificato il piano di rientro concordato tra le parti come atto ricognitivo, ne escluda l’efficacia estintiva sulle condizioni contrattuali del rapporto preesistente, con conseguente validità ed efficacia dell’eccezione di nullità, formulata dalle società ricorrenti, relativa alla clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2014.

In conclusione: la banca NON può applicare interessi a proprio piacimento in un piano di rientro, soprattutto se vanno oltre quelli precedentemente pattuiti, ed il cliente ha sempre la possibilità di contestarlo.

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