Cent’anni di solitudine.

 

Aveva 87 anni Gabriel Garcia Marquez, Gabo per gli amici, scrittore colombiano premio Nobel: è mancato ieri, nella sua casa di Città del Messico.

Tra le sue citazioni più famose:  tutti hanno una vita pubblica, una vita privata e una vita segreta.

Per lui, personaggio carismatico che ha cambiato il modo di vedere il mondo di tutti i suoi lettori, nulla si sa sulla sua vita segreta, ma quella privata e pubblica hanno interagito fino a creare una leggenda.

In una famosa intervista ebbe a dire che l’unica cosa che gli sarebbe dispiaciuto della sua morte è il fatto di non poterla raccontare.

Ecco come raccontava la nascita di Cent’anni di solitudine: «Andavamo da Città del Messico ad Acapulco con la nostra vecchia Opel, io e Mercedes, e i nostri due bambini, Rodrigo e Gonzalo. E come per una folgorazione, mentre guidavo, ho capito come dovevo raccontare la storia, anzi, le storie, che mi seguivano da almeno dieci anni, da quando avevo scritto per una rivista colombiana La Casa de Los Buendía. Apuntes para una novela . Dovevo raccontare le storie come le raccontava la nonna Tranquilina». Il libro, diceva Gabo, era maturo e pronto, «come se qualcuno gli dettasse dentro».

Non c’era che metterlo sulla carta. Girò il muso della macchina, tornò a casa, si mise a scrivere, incaricò Mercedes di occuparsi della vita quotidiana, si chiuse in casa e ne uscì un anno dopo. Per campare fece debiti e vendette la Opel. Mercedes, di suo, sacrificò anche l’asciugacapelli. E nel 1967, quando il libro uscì, in Argentina, e fece fuori tutta la tiratura in una settimana, Gabo si ritrovò improvvisamente famoso. «Un’esplosione », diceva, stupito, pensando anche ai cinque libri, tra cui Nessuno scrive al colonnello e I funerali della Mamà grande , che aveva già dato alle stampe, che erano stati ignorati, e che sarebbero risorti magicamente.

Gabo è stato anche l’amico personale (cosa discussa, cosa criticata) di Fidel Castro. Un’amicizia che non amava commentare, forse unico segno della sua vita segreta. E così è giusto che resti.

Allora spetta a noi ricordarlo e raccontare la sua morte.

Arrivata non troppo inaspettata, viste le ben note e peggiorate condizioni di salute, ma non per questo meno dolorosa.

Un maestro di vita. 

Chiunque abbia letto almeno un suo scritto, un misto di favola, magia e realtà, non può che definirlo tale.

E chissà, magari non è un caso che sia morto proprio di Venerdì Santo, come 2000 anni fa il più grande Maestro di vita fece: come Lui Gabo ha illustrato la bellezza e la magnificenza della vita, ma anche il suo lato oscuro.

Ciao Gabo, ogni tua parola che ho letto e riletto mi ha affascinata, consolata, arricchita.

Senza di te, ora saranno cent’anni di solitudine.

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