Tribunale di Viterbo condanna banca per i bond argentini

 

Anche il Tribunale di Viterbo dice la sua sulla vergognosa vicenda dei bond argentini che ha coinvolto tanti piccoli risparmiatori, ingannati dalla proposta di un investimento sicuro mentre al contrario le banche erano perfettamente a conoscenza che stavano semplicemente sottraendo denaro ad ignari cittadini.

acquistare un titolo sbagliato e perdere l’intero capitale investito è un’azione che diviene meno “dolorosa” se si riesce a recuperare la somma perduta. Ciò è possibile se si riesce a dimostrare, attraverso una perizia tecnico-legale, che l’intermediario finanziario che ha venduto il titolo non ha adempiuto a tutti gli obblighi normativi ed agli obblighi di correttezza e trasparenza.

In questo caso, il contratto potrà essere dichiarato invalido e la Banca sarà costretta a risarcire il risparmiatore delle perdite subite.

È quanto accaduto innanzi al Tribunale di Viterbo dove il Giudice, con Sentenza del 02/02/2015, ha condannato in primo grado l’intermediario finanziario alla restituzione della somma di Euro 58.638,00 oltre spese di causa, agli eredi dell’investitore che hanno agito in giudizio, denunciando il mancato assolvimento degli obblighi di legge inerenti gli ordini di acquisto posti in essere in esecuzione del contratto di prestazione dei servizi finanziari da parte della Banca.

Le operazioni finanziarie, rispettivamente eseguite in data 9.12.1998 e 18.08.1999, avevano riguardato l’acquisto di obbligazioni argentine per un controvalore complessivo di Euro 58.638,00 il cui capitale, successivamente al default dello Stato argentino nel dicembre 2001, è andato perduto.

La Banca che aveva intermediato le operazioni, è stata condannata dal Tribunale per non avere assolto i doveri di diligenza e di informazione nei confronti del cliente, ed in particolar modo l’obbligo di segnalare allo stesso l’inadeguatezza dei titoli che stava acquistando.

Infatti i bond argentini non potevano definirsi adeguati al profilo dell’investitore, non identificabile come operatore qualificato e professionale e, dunque, competente per l’acquisto di operazioni finanziarie altamente rischiose; inoltre, già dal 1997 si percepiva sul mercato che i titoli in questione fossero diventati instabili e dall’alto rischio di insolvenza, e nel 2000 le agenzie di rating avevano declassato il titolo, fino a farlo scivolare nella categoria “default”. Il progressivo declassamento, dovuto alla crescente vulnerabilità e debolezza del titolo nel corso dei mesi, non veniva però in alcun modo comunicato al cliente in questione il quale, pochi anni dopo l’investimento finanziario, si ritrovava nel vortice del fallimento argentino.

Con l’occasione della pronuncia, il Tribunale ha ribadito anche la distinzione tra la nullità e la risoluzione per inadempimento dei contratti di intermediazione finanziaria.
La nullità del contratto può, infatti, essere dichiarata in presenza di una stipulazione contrattuale non valida, vale a dire in mancanza del requisito della forma scritta o in presenza del rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo (ex art. 21 e ss. del TUF).

E’ possibile, invece, riconoscere la responsabilità dell’intermediario per violazione dei doveri comportamentali di informazione e di diligenza specifica nell’attuazione delle operazioni finanziarie, sia se la violazione è posta in essere in fase precedente o coincidente con la stipula del contratto di intermediazione finanziaria (responsabilità precontrattuale) sia in esecuzione del contratto di intermediazione finanziaria stesso (responsabilità contrattuale). L’effetto generato è la risoluzione per inadempimento del predetto contratto.

Nel caso di specie, vista la presenza della forma scritta, del contratto-quadro e della documentazione inerente le comunicazioni della vendita dei titoli in questione, e non potendo ravvisarsi la nullità dei contratti di vendita dei titoli argentini, è stata accolta la domanda subordinata per la declaratoria di risoluzione degli stessi, con valore retroattivo e conseguenti effetti restitutori.
La Banca infatti, oltre a non aver prodotto gli ordini di acquisto, ha agito con negligenza per:

  • non aver predisposto né la “Scheda informativa della clientela” né il “Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari”, entrambi documenti obbligatori;
  • non aver posto in essere alcuno strumento atto a verificare l’adeguatezza dell’operazione finanziaria al profilo dell’acquirente o esplicitato al cliente, in forma scritta, le dovute avvertenze circa le ragioni specifiche dell’inadeguatezza dell’operazione stessa.

Di conseguenza, stante il grave inadempimento dei doveri di diligenza qualificata e di informazione nei confronti del cliente, il Giudice ha dichiarato risolti i contratti aventi ad oggetti gli ordini di acquisto e condannato la Banca negligente alla restituzione del denaro investito all’epoca dei fatti.

Ricordo inoltre in caso di investimenti finanziari altra sentenza importantissima: Sentenza n.44/2015 del Tribunale di Cuneo, attraverso la quale un investitore piemontese ha potuto recuperare la somma di Euro 80.734,86 (oltre ad interessi legali e spese di lite) a seguito della perdita subita nell’investimento in titoli Lehman Brothers.

Qua sotto potete leggere l’intera sentenza del Tribunale di Viterbo:

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trib-viterbo-02022015-2-638

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