25 novembre: giornata mondiale contro la violenza sulle donne

 

 

La violenza sulle donne ormai monopolizza quasi quotidianamente le notizie di cronaca.

E non si parla solo di violenza fisica, ma psicologica, mentale, di tutti i tipi.

Esistono ancora uomini, no, non posso definirli così, BASTARDI SENZA CORAGGIO, che credono ancora che la donna sia un oggetto nelle loro mani, da poter sfruttare ed usare come meglio desiderano, contro la sua volontà.

Il 25 novembre è una data importante: rappresenta a livello mondiale una giornata contro i sopprusi che le donne di tutto il pianeta subiscono, senza possibilità di difendersi.

Solo chi ha vissuto esperienze del genere può comprendere che ferite ti lasciano, indelebili.

Sei una vittima, eppure ti senti colpevolizzata, spesso additata da una massa di pecore che al posto di proteggere, puntano il dito.

Il caso delle tre sorelle Mirabal, violentate e uccise da uomini dell’esercito dominicano nel 1960, sono ancora li, a monito. E la data della loro morte è stata scelta dalle Nazioni Unite per ricordarle e ricordare tutte le altre milioni di vittime di violenza, che ogni anno perdono la vita, se si calcola solo il fatto che in Europa  ogni giorno 7 donne vengono uccise e in Italia una donna muore ogni due giorni, sempre per mano del partner.

Non si può restare indifferenti quando le cifre sono queste. Ed è giusto ricordare tutte le vittime, anche quelle più recenti (e il 2013 è stato l’anno peggiore finora): mogli, fidanzate, compagne uccise e/o ferite perché decidono di lasciare un uomo, perché non si piegano alla volontà altrui, come Miss Honduras e la sorella uccise dal fidanzato di lei qualche giorno fa, o quelle che subiscono, peggio ancora, in silenzio, senza denunciare. Bisogna invece, come dice anche Ban Ki-Moon, segretario delle Nazioni Unite: “Quando si vede un atto di violenza, agite”.

Certo, se perfino riviste prestigiose come Time, decidono di inserire una parola come “femminismo” in un sondaggio ai lettori sulle parole da buttare nel 2014, forse per aumentare il traffico sul proprio sito, risulta palese come il concetto di parità di genere non sia radicato neanche in quella parte di società liberale e colta. Perché di cultura ed educazione, si tratta. Anzi, anche lì, al solo alzare una domanda di rispetto, ne nasce fastidio, intolleranza.

E dall’intolleranza nasce la violenza. Soprattutto la violenza domestica, come dimostrano i purtroppo pesanti numeri che parlano di 1 donna che muore ogni 2 giorni in Italia, 1 su 6 perché vuole lasciare il proprio partner, e 7 su 10 donne vengono uccise in famiglia. Mentre le statistiche a livello mondiale dicono che 1 su 3 donne è vittima di violenza nella sua vita.

Se niente altro resta da dire, molto urge da fare. E per questo, in questi giorni crescono le risposte, nascono attività di vario genere in tutto il mondo: manifestazioni, convegni, azioni dimostrative, spettacolo teatrali e raccolte fondi. Tutto votato al sostegno di quegli organismi che lottano contro questo “fenomeno”, che tale non è più, visto il perseverare. E che supportano le vittime sia nell’ascolto che nella terapia di recupero.

A partire da endviolence.un.org, il cui slogan per questa giornata 2014 è un colore, l’arancione, “Orange your neighboorhood”: il claim della campagna che segna l’inizio di ben 16 giorni di attività fino alla giornata dedicata ai “Diritti umani” del 10 dicembre. Dove si invita a “Rendere arancione il vs. vicinato”, postando poi immagini sul sito e sui social collegati.

Per visualizzare le iniziative che si tengono in Italia, molte sono le associazioni che si mobilitano, tra cui se non ora quando? che segnala l’evento Zapatos Rojos, firmato dall’artista messicana Elina Chauvet, paese in cui la scomparsa di donne e ragazze ha numeri terribili, e che si terrà a Cremona in questi giorni, mentre sul sito è possibile leggere le iniziative nelle altre città.

Passando alla “manifestazione per soli uomini”, ovvero #uomini senza violenza, organizzata SVS Donna aiuta onlus, che si tiene in Piazza della Scala a Milano, davanti a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano patrocinatore della manifestazione. Un’idea e una campagna che agisce trasformando il linguaggio visivo e scritto e che è nata dagli studenti dello IED, insieme a quelli del NABA e dello IULM.

Campagne che vanno ad aggiungersi ad altre, come quella finalizzata all’educazione nelle scuole contro violenza e bullismo, realizzata per la raccolta fondi di Fare x bene onlusCredevo che fosse amore, #credevofosseamore, diffusa con un video, diretto da Federico Brugia, con Eva Riccobono protagonista, e come testimonial Valentina Pitzalis, donna bruciata viva nel 2011 dall’ex-marito, nonché una serie di immagini scattate da Pierpaolo Ferrari.

Non mancano altre azioni più locali, per le quali vi rimandiamo ai siti d’informazione, e quelle dei personaggi noti, particolarmente attivi in questa occasione. A partire da Nicole Kidman, Goodwill Ambassador delle Nazioni Unite dal 2006, che è in primo piano nella campagna contro la violenza sulle donne, e su questo ha fatto un intervento a Pechino durante Bejing20+, piattaforma di azioni inaugurata nel 1995. Mentre altri personaggi, più che parlare di come reprimere questi episodi, ma sottolineano perlopiù il valore dell’educazione – questa sì fondamentale – già in età scolare, per sconfiggere questa piaga.

Una diminuzione radicale si ottiene, infatti, anche con una migliore educazione: per far aumentare le denunce da parte delle vittime, perché molto è il sommerso, ma soprattutto per cambiare gli attegiamenti di adulti e bambini, a partire dalle scuole. Tra le migliaia campagne di sensibilizzazione c’è la White Ribbon, iniziata nel 1991 in Nord America e Regno Unito, supportata dal 2012 dalla Kering Foundation, che diffonde messaggi anti violenza all’interno, tra i dipendenti delle aziende del gruppo, e all’esterno. Per questa campagna già dal 2013,Stella McCartney ha creato un simbolo di White Ribbon for Women, comparso su badge e sui social network, #WR4W.

Messaggi chiari come quello di Linor Abargil, la ex-Miss Universo israeliana nel 1998, violentata da un connazionale a Milano, e che è diventata d’esempio, perché non solo ha denunciato il suo aggressore ed è riuscita a farlo imprigionare. Ma ora, da agguerrita avvocatessa, gira il mondo per insegnare alle donne come comportarsi e denunciare le violenze subite. Raccontando la sua storia nel film “Brave Miss World”, film documentario diretto da Cecilia Peck, per la campagna #IAmBrave.

Allora in questo giorno, come mio personale segno di protesta, voglio ricordare tutte le sentenze italiane e non, che hanno definito per vari motivi “consenziente” la vittima di uno stupro, contribuendo all’aumento vertiginoso di queste violenze:

Stupro, se non c’è orgasmo non è reato
“Non c’è stato l’orgasmo e per questo il violentatore non può essere punito”: una sentenza assolutamente scioccante che arriva dagli Stati Uniti. Secondo il sito web BuzzFeed, il ministero dell’istruzione ha aperto un procedimento ufficiale visto che ben 14 ragazze hanno denunciato il Dipartimento di sicurezza pubblica della Usc. Una ragazza ha anche riferito di essere stata violentata da un suo compagno di studi che però l’ha passata liscia perché, come le hanno detto dal Dipartimento di Sicurezza dell’Università, l’uomo “non ha avuto un orgasmo”. Oltre all’assurdità di questa decisione, va anche sottolineato che il codice penale della California dice che qualsiasi penetrazione è associata allo stupro. Un’altra studentessa ha presentato all’Ateneo una registrazione in cui il suo stupratore ammetteva il reato. Dall’Università però non le hanno fatto sapere nulla, fino a che non ha scoperto lei stessa che il caso era stato chiuso senza alcun provvedimento.

Non sei vergine? Lo stupro non è così grave
Si tratta in questo caso di una sentenza del 2006 e per la precisione della numero 6329 del 20 gennaio 2006. Una ragazzina quattordicenne costretta a vivere e cresce in un ambiente socialmente degradato e difficile, dato che non era più vergine non avrebbe, secondo il giudice, riportato gravi danni dopo le stupro da parte del patrigno. Secondo la Terza Sezione Penale della Cassazione, lo stupro subito dalla ragazzina da parte del patrigno di 40 anni è stato un atto meno grave di altri dato che le giovane non era più vergine.

Impossibile essere stuprate se si indossano i jeans
Sicuramente tantissime di voi ricorderanno questa sentenza che ha aperto, purtroppo la strada, alle decisioni shock in materia di violenza sessuale. La sentenza numero 1636 della Cassazione, del 1999, negò l’esistenza di uno stupro perché la vittima “indossava i jeans”. Insomma, se una donna indossa dei jeans è impossibile che venga stuprata. I giudici infatti hanno motivato la sentenza con il fatto che il jeans “è un indumento che non si può sfilare nemmeno in parte senza la fattiva collaborazione di chi lo porta”. Secondo i giudici infatti, la vittima in questione, evidentemente non era poi così convinta di non voler subire lo stupro.

Per lo stupro di gruppo niente carcere
Recente è il provvedimento che sottolinea come non possa essere imposta per legge la custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale di gruppo. Lo dice Consulta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275 comma 3 del codice di procedura penale, come modificato dal decreto legge 11/2009. “Ciò che vulnera i parametri costituzionali – troviamo scritto nella sentenza n.232 – non è la presunzione in sé, ma il suo carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilevanza al principio del ‘minore sacrificio necessario’”.

Stupro di gruppo, riduzione di pena ai violentatori
Se una donna subisce uno stupro di gruppo, può essere certa che non tutti i violentatori avranno la stessa pena. Perché? Semplicemente perché con la sentenza 40565 del 16 ottobre 2012 la Corte di Cassazione ha deciso che durante una violenza di gruppo, uno sconto di pena deve essere concesso a chi “non abbia partecipato a indurre la vittima a soggiacere allerichieste sessuali del gruppo, ma si sia semplicemente limitato a consumare l’atto”. Insomma, tutto bene se si stupra, l’importante è trovare la vittima già in stato confusionale o immobilizzata da altri.

Vittima di stupro condannata a Dubai
Marte Deborah Dalelv, una ragazza norvegese di 24 anni è stata graziata e potrà lasciare gli Emirati Arabi Uniti dopo essere stata stuprata e condannata perchè colpevole di rapporti sessuali extra-matrimoniali. La ragazza era stata stuprata da un collega: lei aveva denunciato tutto alle autorità; è però stata riconosciuta colpevole di rapporti sessuali fuori dal matrimonio, falsa testimonianza e consumo di alcol, tutte cose tremende per una donna in tantissimi paesi. Il ministro degli Esteri di Oslo, Espen Barth Eide, ha sottolineato come sia “molto strano che una persona che denuncia uno stupro venga condannata per atti che nella nostra parte di mondo non sono neanche un crimine”.

 

PERCHE’ VERGOGNE DEL GENERE NON ACCADANO MAI PIU’: CERTEZZA DELLA PENA, ED IN CASO DI RECIDIVA CASTRAZIONE CHIMICA.

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