Dopo Uber arriva Home Restaurant, le regole

È la versione Uber dei ristoranti: il padrone di casa cucina a pagamento per i viaggiatori che vogliono provare i piatti di tutti i giorni. I commercianti protestano e parlano di concorrenza sleale. Alla Camera è partita la discussione sul ddl che li disciplina

Due stanze al massimo. Non più di 10 coperti. E poi il limite alle aperture: non più di otto al mese, non più di ottanta l’anno. Anche l’Italia prova a regolamentare gli home restaurant, ultimo ritrovato della sharing economy e di quel filone che va da Uber ad Airbnb, dove i comuni mortali fanno quello che prima era riservato agli addetti ai lavori, dai tassisti agli albergatori. Avere un home restaurant significa trasformare la propria casa in un ristorante occasionale, aperto a pagamento per i viaggiatori che vogliono gustare la cucina casalinga del posto. Contatto via internet, atmosfera informale, ricette di una volta e (almeno nelle intenzioni) conto meno salato.

La discussione
Le nuove regole sono contenute in un disegno di legge che ha appena iniziato il suo percorso in Parlamento, con l’avvio del dibattito nella commissione Attività produttive della Camera. Il testo è stato presentato da Azzurra Pia Maria Cancelleri, del Movimento 5 stelle. Oltre ai requisiti di cui abbiamo parlato all’inizio, prevede altre regole come l’obbligo di comunicare l’apertura di un home restaurant con la cosiddetta Scia, la segnalazione certificata di inizio attività.

7 mila cuochi social

Gli home restaurant sono nati negli Stati Uniti nel 2006, per poi diffondersi subito nel Regno Unito. In Italia siamo più indietro ma non si tratta di un fenomeno residuale. Secondo una ricerca del Centro studi turistici, nel 2014 il settore ha fatturato 7,2 milioni di euro, con 7 mila cuochi che hanno aperto la loro casa a conoscenti o sconosciuti contattati tramite social networks. Sempre nel 2014 hanno cenato in un home restaurant italiano 300 mila persone.

Concorrenza sleale?
E i ristoratori tradizionali? Non siamo ancora alle barricate, come quelle dei tassisti di tutto il mondo contro Uber. Ma, secondo un sondaggio Swg per Confesercenti, l’80% dei ristoratori italiani dice che si tratta di concorrenza sleale. E praticamente tutti, il 92%, sostengono che il fenomeno deve essere regolato. Il testo in discussione in Parlamento ha proprio questo obiettivo. Ma si tratta di un disegno di legge presentato da un gruppo di parlamentari. I tempi non saranno brevi.

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