Tribunale di Torino: fido di fatto e prova delle rimesse solutorie

Non so a quanti di voi sia capitato di avere una causa risarcitoria contro una banca per usura ed anatocismo: a me parecchie volte, non solo come parte attrice ma anche come perito di parte per i correntisti.

La tecnica che usano spessissimo le banche, basandosi sull’ignoranza della legge bancaria non solo di alcuni legali, ma SOPRATTUTTO E PURTROPPO di tantissimi CTU, è quella di negare l’esistenza di un conto affidato, che quindi non consentiva al correntista di utilizzare dei fondi messigli a disposizione pagando LAUTI INTERESSI E COMMISSIONI USURARIE.

In questo modo, passasse la loro tesi, francamente insostenibile, le banche però otterrebbero due risultati.

Il primo è quello di giustificare gli alti interessi applicati per un uso “in rosso” del conto corrente non autorizzato, il secondo fanno apparire i versamenti immediatamente successivi al termine del trimestre come rimesse solutorie, ovvero il tentativo del correntista di rientrare da uno sconfino non concordato.

Ebbene, arriva a proposito una sentenza del Tribunale di Torino, che taglia la testa al toro:

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L’importanza della perizia econometrica in un contenzioso bancario.

 

Voglio affrontare questo discorso perchè mi rendo sempre più conto che il mercato della perizia econometrica, strumento necessario per dimostrare le proprie ragioni in un contenzioso bancario, sta diventando sempre più metodo speculativo di persone senza scrupoli, comprese alcune Associazioni Consumatori, che chiedono cifre folli per poi consegnare un documento completamente inidoneo a sostenere la tesi di usura.

Parto da un dato di fatto fondamentale: l‘unica perizia ASSEVERATA, ovvero giurata, che ha un valore in un giudizio in Tribunale, è quella perfezionata dal CTU, ovvero il Tecnico nominato dal Giudice, che giura davanti al medesimo di compiere il proprio lavoro nell’ottemperanza delle normative previste per il calcolo dell’usura, ovvero la sentenza 350/2013 della Cassazione, la legge 108/96 e la sentenza della Corte d’Appello di Venezia nr. 342/2013. (per poterle leggere nella loro completezza potete andare sulla mia pagina facebook nella sezione note)

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