Fly me to the moon

Come gli avvoltoi che si aggirano attorno alla preda nell’attesa di vederla morire, alla notizia della morte di Neil Armstrong sul web è tristemente ricominciato il tam tam di ogni sorta di complotto lunare.

Secondo queste tesi, demolite scientificamente nel corso degli anni, l’allunaggio del 20 luglio 1969 fu una bufala costruita ad hoc negli studi cinematografici sotto la regia addirittura di Stanley Kubrick, per varie motivazioni: coprire gli insuccessi della Nasa che già all’epoca godeva di budget di miliardi di dollari, attribuire il primato agli Stati Uniti nel periodo peggiore della Guerra Fredda.

Difficile comprendere il disfattismo insito nel genere umano, specie quando si tratta di opinioni contro fatti inopinabili.

Sarebbe bello per una volta riuscire unanimemente a guardare la luna: Neil Armstrong, e con lui tutte le persone che lavorarono per la riuscita di quell’impresa sensazionale, ha contribuito in modo inequivocabile all’avvio di una nuova era per tutta l’umanità.

Magari tra qualche anno inizieranno i viaggi turistici nello spazio, probabilmente tra centinaia di anni saremo ancora sulla nostra Terra a sognarli senza essere ancora riusciti a realizzarli.

In ogni caso, il vero valore che ci è stato regalato in quel lontano giorno di luglio è la speranza dell’ignoto: fino a che gli uomini potranno immaginare di superare i propri limiti e realizzare scoperte innovative per la propria vita, il loro spirito non morirà mai.

Esattamente come lo spirito di Neil Armstrong resterà sempre nei ricordi e nei sogni di chi lo ha visto alla tv o di chi l’ha studiato su un libro di scuola.

Questa notte ho guardato la luna. Forse un giorno mia figlia potrà vederla più da vicino.

“Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”.

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