Perchè ai dipendenti pubblici è tutto permesso?

Doverosa premessa, io non ho nulla in particolare contro i dipendenti pubblici.

Quello che di loro però non tollero è la spocchia con cui di guardano dall’alto in basso, giudicandoti anche in malo modo, reagendo pesantemente se li riporti alla realtà dicendogli, mentre io ero qua a fare la fila e lei a fare la spesa in orario di lavoro, si ricordi che io le sto pagando un pezzo di stipendio.

Certo, non tutti sono così.

Ci sono tantissimi dipendenti pubblici che lavorano alacremente, e fossi in loro mi incazzerei non poco a sentire queste continue polemiche che non mi riguardano direttamente, perchè il mio dovere lo faccio.

A questi ultimi, vorrei dire che fare il proprio dovere significa anche denunciare chi non lo fa, chi timbra il cartellino e poi esce e chissà quando torna, chi timbra dieci cartellini per volta, chi si fa i cazzi suoi durante l’orario lavorativo, rendendo gli uffici amministrativi un’autentica bolgia piena di arretrati che non vedranno mai la luce.

Avete ragione, i vostri stipendi sono bloccati da 5 anni. Mi spiace.

Sapete quanti dipendenti privati hanno perso il proprio lavoro in questi ultimi 5 anni?

Perchè in Italia i dipendenti privati non godono delle stesse tutele di quelli pubblici, inutile continuare a raccontarci favole: sono una base di voti che non si può toccare.

Loro lo sanno, e se ne approfittano.

Provate ad andare a fare un esposto in un qualsiasi ufficio di una qualsiasi pubblica amministrazione: io l’ho fatto, chiedendo esplicitamente che venissero rispettati i miei diritti di cittadina e che a questa persona fosse mandata una lettera di richiamo.

Nelle aziende private, non serve che qualcuno lo dica, partono in automatico, per ogni stupidaggine, fino ad arrivare al mobbing, che è difficilissimo da dimostrare ma pesantissimo da subire.

Ebbene, in quello come in altri casi la risposta è stata la stessa: non esiste possibilità di lettere di richiamo, la prenderemo da parte e le spiegheremo la situazione.

Ma io non mi sono fermata, perchè si trattava di abusi su minori a scuola, e sapete cosa è successo? Al posto di sentirmi dire grazie per la segnalazione, per aver avuto il coraggio di parlare di qualcosa che tutti sanno e di cui nessuno parla, sono stata IO messa sotto accusa prima dall’amministrazione comunale e poi persino dal preside, e così, i pochi genitori che stavano iniziando a parlare, sono stati zitti. Codardi vigliacchi, avete avuto dei miglioramenti usando un capro espiatorio, fiera di esserlo per aver difeso contro tutti mia figlia.

Ok, premessa finita, ma la ritenevo fondamentale per comprendere le differenti tutele tra il lavoro privato e quello pubblico.

Tra i dipendenti pubblici rientrano non solo i politici ( e su quello se parto non mi fermo più), ma anche dirigenti di azienda partecipate, addetti ai vari Ministeri per i servizi più differenziati, i baroni universitari: tutti pagati in un modo VERGOGNOSO, ben oltre il settore privato.

C’è il personale amministrativo, si, proprio quello che in tanti servizi di trasmissioni stile Iene sono stati colti in flagranza di assenteismo.

Questi hanno pure il coraggio di lamentarsi?

E poi ci sono i dipendenti pubblici che lavorano nel welfare, bistrattati, che fanno un lavoro socialmente utile, direi indispensabile, e vedono togliersi ogni giorno fondi essenziali: pensiamo alle insegnanti, al personale medico, al personale della Giustizia, giusto per fare qualche esempio. Si potrebbero anche aggiungere i 17 milioni di pensionati, poveracci, tra i quali ci sono i maledetti che cumulano pensioni d’oro e vitalizi senza aver versato un centesimo di contributo ed hanno il coraggio di parlare di diritti acquisiti. Sulla base di che? Io lo chiamo più semplicemente FURTO ai danni dei cittadini italiani. Con la legge di stabilità hanno persino tolto il tetto massimo alle pensioni d’oro ed agli stipendi dei dirigenti statali. 

Per colpa delle mele marce, tutti ne vanno di mezzo, ma alla fine, chi paga sempre è il cittadino.

Adesso arriva il punto fondamentale. Seguitemi bene.

Negli ultimi anni in rete sono apparsi grafici comparativi sul numero dei dipendenti pubblici in Italia e in Paesi molto più grandi, tipo gli Usa: 350 milioni di popolazione e 2,5 milioni di dipendenti pubblici, contro i nostri 60 milioni di cittadini e 3,2 milioni di pubblici dipendenti. Mica male come rapporto, eh?

La differenza fondamentale tra Usa ed Italia è che i primi hanno il coraggio di fare questo:licenziati 24mila dipendenti statali.

I mass media, servi del sistema, sono corsi subito ai ripari, dimostrando che il numero dei dipendenti pubblici in Italia è inferiore alla media europea, e lo è anche il loro stipendio:

Scende addirittura in loro difesa l’OCSE, che denuncia che i dipendenti statali in Italia sono pochi e malpagati.

Però.

Una voce non esattamente imparziale, dato che i sindacati difendono il lavoro pubblico, prima fonte del loro tesseramento. Le statistiche dicono in effetti che in Italia, nel 2012, i dipendenti pubblici erano 3.238.474, l’1,4% in meno rispetto a cinque anni prima, dunque in leggero calo. Non solo, il confronto con l’Europa sarebbe positivo, nel senso che gli statali, in termini assoluti, sarebbero molti di più in Francia (5,5 milioni) e in Gran Bretagna (5,7 milioni).

Ci sono dunque più dipendenti pubblici in Gran Bretagna o in Olanda che in Italia, patria dello statale? Qualcosa, evidentemente, non torna.

Il numero di dipendenti statali ufficiale è quello fornito dalla Ragioneria generale dello Stato. Che però dice anche qualcosa di più.

In primo luogo i 3,2 milioni di statali italiani calcolati sono quelli con contratto «a tempo indeterminato».

Ma ci sono gli altri, quelli con contratti diversi, che comunque paghiamo.

Per esempio il «personale a tempo determinato e con contratto di formazione e lavoro», altre 80.413 persone secondo i dati 2012 della Ragioneria dello Stato.

La quale poi ci informa che questa cifra non comprende «i supplenti brevi della scuola, dei quali si rileva solo la spesa», e che sono esclusi anche i «professori universitari a contratto e i ricercatori assegnisti dell’Università», pari a circa 20 mila.

Dunque, sommando tutto, dobbiamo aggiungere almeno altre 100 mila persone.

Senza contare che nella cifra ufficiale non sono compresi i dipendenti degli organi costituzionali, che hanno un bilancio a parte: i dipendenti della Camera (1500 circa), del Senato (829), del Quirinale (2 mila circa), della Corte costituzionale (350).

La somma, dunque, è ben più elevata. Ma non basta ancora.

Nella pubblica amministrazione lavorano anche altri tipi di impiegati.

Nel 2009 lo Stato ha distribuito la bellezza di 299.281 consulenze esterne (con un costo pari a 1.390.430.276 euro). A cui aggiungere altri 27 mila incarichi esterni assegnati dal Servizio sanitario nazionale.

Ma è una cifra parziale, perché meno della metà delle amministrazioni pubbliche ha comunicato i propri dati al ministero, perciò – stimava la funzione pubblica – si può supporre che le consulenze siano circa 500 mila in un anno, mezzo milione di consulenti esterni, una mole spaventosa quando già lo Stato può contare su 3,5 milioni di impiegati.

«I dati evidenziano ancora una situazione allarmante », ha spiegato nel 2012 il ministero della Funzione pubblica. «Il ricorso alle professionalità esterne alla pubblica amministrazione continua a essere eccessivo e forse, in certi casi, anche di dubbia utilità».

Dunque, sommando anche i consulenti, arriviamo a circa 4 milioni di persone stipendiate dallo Stato.

Restano però da calcolare gli interinali (altri 8 mila) e gli Lsu, i cosiddetti «lavoratori socialmente utili», impiegati soprattutto al Sud (17 mila circa), e le collaborazioni coordinate e continuative (37.443 persone) .

Aggiungiamo quindi circa 60 mila persone, arrivando a oltre 4 milioni di stipendiati dallo Stato su circa 22 milioni di occupati.

Un lavoratore su 5.

Cifra che dovrebbe scendere un po’, se si realizzasse il taglio di 85 mila dipendenti pubblici previsto dalla spending review, ma è tutto da vedere.

E non è finita.

L’addetto che vi controlla i biglietti sul tram va forse considerato un dipendente privato? Difficile.

Le statistiche precedenti, quelle dello Stato centrale, non li comprendono, perché tecnicamente non sono dipendenti né del settore statale (scuola, ministeri, polizia, forze armate) né del settore pubblico non statale (Servizio sanitario nazionale, regioni e autonomie locali).

Il motivo è che il bigliettaio dipende da una società partecipata spesso controllata dal pubblico, ma non interamente pubblica.

Ma anche loro formano l’enorme massa del lavoro pubblico italiano.

In questo l’Italia può vantare una posizione di primato mondiale. «Secondo un recente studio dell’Ocse, l’Italia figura tra i paesi in cui la dimensione del settore pubblico è maggiore», si legge in un dossier della Banca d’Italia.

«Nel 2009 il valore complessivo delle imprese controllate dal governo centrale era pari per l’Italia a 105 miliardi di dollari; solo Corea, Francia e Norvegia presentavano valori più elevati. Considerando le società quotate in cui lo Stato detiene almeno il 10%, l’Italia risulta il secondo paese dietro la Francia per valore delle partecipazioni. Va inoltre considerato che tali dati non tengono conto del valore effettivo delle partecipazioni che, pur essendo minoritarie, consentono l’esercizio del controllo».

In altre parole, l’Italia supera tutti per partecipazioni pubbliche in aziende e società di servizi.

Il bello, per modo di dire, è che non si riesce a sapere quante sono le società partecipate soltanto dagli enti locali e quanti i loro dipendenti.

L’Anci parla di 3662 partecipate dai comuni; per l’Irpa (Istituto di ricerca sulla pubblica amministrazione) sono di più, ma è impossibile sapere il numero esatto: «I dati, sebbene concordi nel mostrare un fenomeno di vaste dimensioni, non consentono una stima esatta del numero delle partecipate dagli enti territoriali.

Le stime vanno dalle 3000 alle 6000 società partecipate, ma i dati risentono inevitabilmente di alcune variabili legate a ciò che si include nel calcolo e alla scarsa completezza delle informazioni fornite e raccolte».

In definitiva, lo Stato non sa quante aziende possiede.

E se volessimo aggiungere al totale degli statali, oltre all’esercito delle partecipate e controllate locali, anche quello delle partecipate del Tesoro?

Come la Rai, posseduta al 99,5% dal ministero dell’Economia, e i suoi 13.299 dipendenti. O l’Anas (100% del Tesoro) con 6357 dipendenti, di cui 2 mila dirigenti. O Fs ferrovie dello Stato (100%) con 71.191 dipendenti. O Posteitaliane Spa (100%) con 144 mila dipendenti. O ancora l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, meglio nota come Invitalia (100% pubblica), un altro migliaio di stipendi. E poi molte altre società possedute o partecipate dal ministero dell’Economia (Eni, Enel, Finmeccanica…), in tutto 33, e altre migliaia e migliaia di persone. Stime dell’Istat parlano di 4186 aziende in cui la partecipazione pubblica supera il 50%, per un totale di 681 mila occupati 12.

Siamo proprio sicuri di essere nel settore del pubblico impiego «in linea con l’Europa?

Io ne dubito fortemente, e mi sento decisamente presa per i fondelli.

Guardate questo grafico, indica il numero dei dipendenti pubblici divisi per Regioni ed i costi del personale, avete una vaga idea di quanto incidono sul debito pubblico? Ogni neonato al primo vagito ha già un debito verso lo Stato stimato intorno ai 37.000 Euro.

Ma ancora non è finita.

I dipendenti pubblici hanno diritto alla pensione anticipata: non è per diminuire la spese, che semplicemente viene spostata da un centro di costo ad un altro.

Prendo direttamente dal sito dell’Inps link e spiegazione sulla pensione anticipata che spetta ai dipendenti pubblici.

Leggete, voi esodati grazie alla Fornero. Quanto ancora bisogna subire prima di vedere la dignità di un Popolo che dice basta?

La spending review è una presa per il culo, lo capite?

Ogni tanto tirano fuori magicamente dal cilindro il nome, per far credere che stanno facendo qualcosa per ridurre il costo dello Stato, che al contrario continua ad aumentare, alimentato da una moneta a debito.

E questo comporta l’introduzione di sempre nuove tasse sui poveri cittadini, fino a che non saremo tutti in condizione di schiavitù totale.

A casa mia, due più due fa sempre quattro.

Spegnete la tv, accendete il cervello e ribellatevi. Anzi, RIBELLIAMOCI. 

INSIEME. 

Non mi stancherò mai di dirlo: AFFAMIAMO IL SISTEMA, SOLO COSI’ LO VEDREMO FALLIRE E SAREMO NUOVAMENTE SOVRANI E LIBERI.

UN POPOLO CHE NON SI RIBELLA E’ UN POPOLO SENZA DIGNITA’.

E concludo con un appello ai dipendenti statali che danno l’anima per il loro lavoro.
A breve non avremo neppure più Carabinieri, Polizia.. tutti conglobati sotto gli Eurogendfor: chi si ribellerà ne pagherà pesantemente le conseguenze.
DENUNCIATE ORA PUBBLICAMENTE QUELLO CHE VEDETE, I LAVATIVI, GLI USURPATORI, PERCHE’ RICORDATEVI CHE IL POPOLO VI CHIEDE QUESTO ED E’ CON VOI.
Ma se non fate questa scelta in un momento tanto critico, questa omertà verrà ricordata e TUTTI ne resteranno coinvolti.
PENSATECI.

EUROGENDFOR

Eurogendfor: fino a qualche tempo fa, quando ancora si riusciva a nascondere la loro presenza “occulta” e repressiva nelle manifestazioni dei liberi cittadini, qualcuno, non pochi, ha avuto il coraggio di urlare alla bufala.

Ma quando si sono visti prima a Napoli e poi a Bologna, è sceso il gelo totale, dietro la solita solfa: lo vuole l’Europa.

Abbiamo il coraggio di aprire gli occhi e capire?

La super gendarmeria europea, che ufficialmente è un corpo speciale voluto da cinque Stati membri (Francia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) per gestire le crisi internazionali è stata istituita nel 2007 con il Trattato di Valsen.

Il suo motto – perchè tutti i corpi di polizia, come le famigerate SS, devono averne uno – è il seguente, “Lex Paciferat”, cioè “La legge porterà la Pace”.

In Italia è previsto che in futuro sparirà addirittura l’Arma dei carabinieri: in parte gli effettivi saranno assorbiti dalla polizia, in parte da Eurogendfor.

Questa la storia della sua creazione.

Il 14 maggio 2010 l’assemblea di Montecitorio ratifica all’unanimità – 443 presenti, 442 assensi e un solo astenuto – con la legge n. 84 il “Trattato di Velsen”. Il Senato, poco prima, il 28 aprile, vota alla stessa maniera.

Il 12 giugno il “Trattato” entra in vigore.

Di che si tratta?

Di uno dei casi più inquietanti di cedimento di sovranità nazionale che la storia del Parlamento italiano ricordi.

Perché se la ratifica del Trattato del Nord Atlantico, che istituiva la Nato, firmato a Washington il 4 aprile 1949, e l’accordo che ratificava nello stesso Trattato lo statuto dei vari eserciti, firmato a Londra il 19 giugno 1951, furono discussi apertamente in aula e su tutti i quotidiani animando un dibattito citato tutt’oggi su tutti i manuali di storia dell’Italia contemporanea, il “Trattato di Velsen”, al contrario, passa nel silenzio più totale.

Domanda: a cosa serve? E soprattutto: perché tanto silenzio?

Il blackout mediatico certo non aiuta: rare notizie apparse su varie testate parlano di “totale immunità giudiziaria”, per la nuova milizia, “a livello nazionale ed internazionale”.

Non solo.

L’articolo 21 del Trattato di Velsen prevede l’inviolabilità dei locali, degli edifici e degli archivi di Eurogendfor. L’articolo 22 immunizza le proprietà e i capitali della super-polizia da provvedimenti esecutivi dell’autorità giudiziaria dei singoli Stati nazionali, e l’articolo 23 prevede che tutte le comunicazioni degli ufficiali di Eurogendfor non possano essere intercettate da nessuna autorità giudiziaria.

Aggiungo.

Sempre Velsen prevede che i paesi firmatari rinuncino a chiedere indennizzi per eventuali danni procurati dalla milizia, e l’articolo 29 mette al riparo gli uomini di Eurogendfor da qualsiasi procedimento giudiziario a loro carico.

Nel Trattato di Velsen c’è un’intera sezione intitolata “Missions and tasks”, in cui si apprende che Eurogendfor potrà operare “anche in sostituzione delle forze di polizia aventi status civile”, in tutte le fasi di gestione di una crisi.

Vastissimi i compiti che il trattato affida a Eurogendfor: garantire la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico, svolgere attività di polizia giudiziaria (anche se non siUn commando Eurogendfor in azione capisce per conto di quale autorità giudiziaria), nonché missioni di controllo e “supervisione” della polizia locale nelle indagini penali.

Eurogendfor potrà dirigere la pubblica sorveglianza, operare come polizia di frontiera, acquisire informazioni e svolgere operazioni di intelligence.

Con tutte le immunità e le protezioni di cui si è dotata, la struttura somiglia più a un servizio di spionaggio interno ed esterno, che ad uno di polizia.

E’ stata progettata una sorta di struttura militare sovranazionale che potrà operare in qualsiasi parte del mondo, sostituirsi alle polizie locali e agire nella più totale libertà, rispondendo soltanto ai propri vertici operativi.

Dai Parlamenti, nessun potere di controllo.

Un altro pezzo di democrazia che se ne va.

Il progetto iniziale è del l’8 ottobre 2003, in occasione della riunione informale tenutasi a Roma dei ministri della Difesa della Unione europea nel corso della presidenza italiana, con un contributo decisivo del Ministro della Difesa francese Alliot-Marie.

L’anno seguente, il 17 settembre 2004, viene firmato a Noordwijk, in Olanda, il primo trattato fra i cinque stati che istituisce la Forza di gendarmeria europea. I fautori sono sempre Alliot-Marie e il forzista Antonio Martino.

Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stesa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre Il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda.

Tutti e cinque i paesi firmatari hanno una caratteristica peculiare, cioè la presenza di una polizia militare: in Italia l’Arma dei Carabinieri, in Francia la Gendarmerie, in Spagna la Guardia civil, in Portogallo la Guardia national e in Olanda la Marechaussée.

Il provvedimento cambia radicalmente l’identità stessa dell’Arma dei Carabinieri.

All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR».

Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche».

Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente.

Una funzione radicalmente diversa da quella dell’Arma dei Carabinieri.

Quindi, la Nato può avere voce in capitolo nell’ordinare a Eurogendfor le sue missioni, ma a chi risponde tale organismo?

All’Unione europea? No. Eurogendfor non risponde né agli Stati né all’Ue, ma, come viene detto nell’art. 7, al Cimin, un comitato interministeriale con sede a Vicenza nella caserma dei Carabinieri “Chinotto”, ed è composto dai vari rappresentanti ministeriali dei Paesi aderenti (cioè i Ministri della Difesa e degli Esteri), e ha il compito di «esercitare il controllo politico di EUROGENDFOR, definire il suo orientamento strategico ed assicurare il coordinamento politico-militare tra le  Parti  e,  ove  opportuno, con  gli Stati contribuenti».

È solamente questo organismo, che ha ampi poteri (nomina il comandante di Egf, le nomine in seno al Quartier Generale e il Presidente del Consiglio finanziario, ecc.), a determinare la politica dell’Eurogendfor, e nessun altro.

In sintesi: l’European Gendarmerie Force non risponde affatto ad alcun Parlamento, né nazionale né europeo (che già non ha alcun potere decisionale).

Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale.

L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione».

Insomma, se ci si era scandalizzati per all’ingerenza della Cia nella politica italiana in relazione al rapimento del mullah Abu Omar, ora gli europei potrebbero iniziare ad abituarsi all’esistenza di una «super-polizia» che, oltre a proteggere gli interessi di Bruxelles (si noti bene, quelli dell’Ue e dei Cd’A delle banche private, e non dei suoi “cittadini”), potrà svolgere un vero e proprio lavoro di intelligence stile 007, addestrare le varie forze di polizia locali e proteggere «le persone e i beni», mantenendo «l’ordine in caso di disordini pubblici».

A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen?

A quelli inquadrate nel «nel quadro della dichiarazione di Petersberg».

Cioè?

A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della Ueo che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’Ueo da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missini umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace.

Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento».

Quindi, le scene viste al G8 di Genova del 2001 – dove la stampa arrivò a parlare di «premiata macelleria cilena» e dove Massimo D’Alema arrivò ad attaccare il governo del premier Berlusconi, accusato di «fascismo» e di «autoritarismo» – potrebbero diventare il «pane quotidiano» per tutti coloro che si oppongono ai diktat draconiani della trojka neoliberista. E ne stiamo già avendo un piccolo assaggio.

Insomma, il potere dell’Arma dei Carabinieri e dei vari corpi di gendarmeria nazionale aumenta così vertiginosamente, dato che risponde solo al CIMIN (solamente ai suoi rappresentanti e ai rappresentanti del Ministero Esteri e Ministero Difesa, quindi al governo, e non al Parlamento, quindi al cosiddetto “popolo sovrano”), mantiene i suoi classici poteri in Italia (che vengono però centuplicati) e gode di diritti assolutamente impensabili in un normalissimo Stato di diritto, cioè la totale immunità e l’insindacabilità.

Le riflessioni da fare sono parecchie.

I poteri del comandante del corpo sono ampissimi, e l’Eurogendfor viene presentata, per ovvi motivi, in maniera edulcorata, come la naturale evoluzione in chiave europeista delle gendarmerie nazionali,  ma la situazione non è affatto così rosea.

Le gendarmerie nazionali, infatti, non hanno devoluto, come è successo con gli Stati nazionali, le loro naturali prerogative ad un organismo comunitario con sede a Bruxelles, ma con Eurogendfor, invece, nasce un corpo di polizia che, come fa riferimento l’art. 5 del trattato di Velsen, non è a disposizione solamente dell’Unione europea (che già con tutti quei poteri è qualcosa di inquietante), ma è a disposizione dell’Onu, dell’Osce e della Nato, pertanto degli Stati Uniti d’America.

Quindi si evince che sulla carta risulterebbe un’istituzione europea, nei fatti, visto la supervisione statunitense, si dimostra un’istituzione atlantista.

È interessante vedere la questione delle spese, che graveranno sia sullo Stato italiano, visto che la base è in Italia.

In base all’art. 10, l’Italia è completo servizio delle sue forze: «Lo Stato ospitante si impegna a fornire a titolo gratuito al QG permanente le infrastrutture necessarie ad EUROGENDFOR per svolgere i suoi compiti. Tali infrastrutture sono definite in uno specifico documento approvato dal CIMIN. (…) Lo Stato ospitante adotterà tutte le misure opportune  necessarie a garantire la disponibilità dei servizi richiesti, in particolare  l’elettricità, l’acqua, il gas naturale, i servizi postali, telefonici e telegrafici, la raccolta dei rifiuti e la protezione antincendio al QG permanente. Le condizioni relative ai servizi di supporto dello Stato ospitante saranno ulteriormente specificate in accordi di attuazione conclusi tra le  competenti  autorità delle Parti».

La cosa, se Eurogendfor fosse la classica Arma dei Carabinieri e se rispondesse a Roma o all’Unione europea, avrebbe senso, ma se la struttura è collegata alla Nato, che senso ha se non quella di rendere l’Europa ancora più legata agli al dominio degli Usa?

Eurogendfor, e la cosa deve far riflettere, non è solamente una forza esistente sulla carta di due trattai, Noordwijk e Velsen, ma è già stata impiegata in ben due missioni ufficiali e in una “ufficiosa”: nel 2007 l’Egf era in Bosnia Erzegovina, e nel dicembre 2009 è stata ufficialmente impiegata anche in Afghanistan, all’interno della missione Isaf, mentre, dopo il Terremoto di Haiti del 12 gennaio 2010, un contingente di Eurogendfor è stato inviato sull’isola, composto da 120 Carabinieri, 147 agenti della Gendarmeria francese e un plotone spagnolo composto da 23 unità della Guardia civil.

Questo è quello che si evince dalla semplice consultazione del sito web dei Carabinieri o dal sito informativo Euronews.

A questa ufficialità bisogna aggiungere, quindi, l’ufficiosità, cioè quello che la stampa ufficiale ha taciuto: l’Eurogendfor, infatti, è duramente intervenuta per reprimere le manifestazioni antieuropeiste e antiausterity in Grecia, un paese stremato non solo dalla crisi economico finanziaria, ma dalle misure adottate da Bruxelles per salvare le banche, che la classe dirigente greca ha accettato senza colpo ferire.

Tra l’8 e il 10 ottobre 2011, infatti, in base a fotografie che sono apparse in diversi siti Internet greci, una brigata di Eurogendfor, è sbarcata con un traghetto a Igoumenitsa in abiti civili.

Si capiva che erano poliziotti del corpo di gendarmeria europeo, perchè sui vestiti, sulle borse vi era il logo di Egf, una spada con le parole “Lex Paciferat”.

Sempre da fonti greche, si è appurato che il giorno dopo sono stati caricati su trasporti militari camuffati da civili e trasportati a Larissa, sede di un aeroporto militare chiuso da poco tempo e usato come base militare per i corpi di fanteria.

La presenza dei “super-poliziotti” europei è confermata, oltre che dalla popolazione del posto, da una radio locale e dalla popolazione di Markopoulo, vicino ad Atene, dove si trovano molti Bus dell’Esercito con fuori molti giovani in abiti civili che divisi in gruppi parlano tra di loro, ma non in greco.

Ma perchè mandarli in Grecia?

Perchè, come è evidente dalle notizie sui giornali e da come si comprende dalle prerogative di Eurogendfor presenti nell’art. 4 del Trattato di Velsen, la principale funzione di questo corpo è quello di«mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici», e con le violente manifestazioni ad Atene e non, di «disordini pubblici» la Grecia ne ha visti tantissimi, così come ha visto la sua sovranità assottigliarsi giorno per giorno alla pari della sua ricchezza e della dignità.

Ancora.

Come dimenticare il “via” all’attacco all’Afghanistan, col diessino Violante che compara le truppe italiane ai volontari delle Brigate Internazionali che difendono la Spagna repubblicana o le pietose menzogne sulle «armi di distruzione di massa» in mano al “pazzo nazista” irakeno Saddam Hussein, inventate ad arte e di sana pianta per giustificare l’ennesimo attacco imperialista statunitense, che non ha mai immolato i suoi “soldati Ryan” per l’astratta libertà, ma per accaparrarsi risorse petrolifere e, nell’ultimo conflitto mondiale, riempire uno spazio geopolitico che si stava svuotando per via dell’avanzata dell’Armata rossa e per la decadenze dei vecchi stati imperialisti e coloniali europei.

Tutto questo potrebbe diventare un’immagine d’archivio o di repertorio, visioni di un passato remoto, perchè delegando tutto al Cimin e a Eurogendfor, non ci saranno più dibattiti parlamentari in relazione all’intervento militare, e i politici non saranno più obbligati a inventarsi di sana pianta pietose storie piene di retorica patriottarda per giustificare gli interventi all’estero.

E non solo: se il parlamento non discute, la stampa non dovrà più animare dibattiti e quindi l’opinione pubblica, all’oscuro di tutto, farà molta più fatica ad animarsi e a indire manifestazioni, sit-in e cortei contro un’eventuale guerra.

Ed ecco, senza dover sguinzagliare gli agenti dell’European gendarmerie force, che l’Ue, attraverso l’omissione e il silenzio stampa, ha risolto alla radice il problema del mantenimento dell’«ordine in caso di disordini pubblici».

Insomma, per concludere, se la democrazia liberale viene definita, sulla carta, il «potere del demos», cioè del popolo, quella che sta per essere attuata in Unione europea, grazie allo strapotere delle varie commissioni, delle banche e del grande capitale finanziario, è un’oligarchia, cioè il governo delle èlite.

E intanto un poliziotto italiano ha il coraggio di denunciare:

n/a