UBI Banca: quanti sanno che sta per partire il processo del secolo contro di loro?

Giovanni Bazoli, ripreso all’uscita del Tribunale di Bergamo, dopo l’istruttoria del procedimento penale contro UBI Banca – Banca Popolare di Bergamo

UBI BANCA, altrimenti detta BANCA POPOLARE DI BERGAMO.

Uno dei maggiori gruppi bancari italiani.

Con sede a Bergamo (e lo sanno tutti gli imprenditori italiani che si trovano a dover affrontare una miriade di azioni esecutive proprio in quel Tribunale, al punto che il suo Presidente, per evitare ogni questioni su quesiti di CTU, ha predisposto quesiti UGUALI per tutti), messa sotto indagine da un coraggiosissimo PM, FABIO PELOSI, e che grazie al suo lavoro incrollabile, facendo appoggio su un pool guidato dal Procuratore Capo di Bergamo WALTER MAPELLI e sulla Guardia di Finanza, è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile, al punto che durante l’istruttoria i difensori ridevano (visti personalmente): ha convinto un’altrettanta coraggiosissima GUP, ILARIA SANESI, a rinviare a processo con accuse gravissime ben 30 imputati, tra cui i VERTICI DI UBI BANCA IN CARICA.

Nessuno ne parla, nessun Tg, tutti tacciono. Sapete perchè?

Semplicissimo.

E’ il primo processo penale, partito nella sede ufficiale della Banca, nel “suo” Tribunale, che vede imputati non ex dirigenti, ma VERTICI TUTT’ORA OPERATIVI ED AL COMANDO DI UBI BANCA.

Si tratta di un evento epocale proprio perché, per la prima volta, non sono a giudizio banchieri e banche per fatti riguardanti un passato più o meno remoto, ma banchieri e banche ancora nel pieno della loro attività e l’eco del processo sarebbe certamente significativo, se solo il mainstream ne parlasse.

Vanno tutti a processo i protagonisti della fusione che portò alla costituzione di Ubi (Unione di banche italiane): nomi eccellenti coinvolti tra cui l’ a.d. Victor Messiah, il presidente Andrea Moltrasio , i vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus, passando per il bergamasco Emilio Zanetti, presidente dell’Associazione Amici di Ubi, e poi il piatto forte, il presidente emerito di Banca Intesa Giovanni Bazoli e della figlia Francesca, insieme alla stessa Banca Ubi.  

Tra questi la banca stessa come persona giuridica in base alle legge 231 del 2001 che impone la predisposizione di modelli organizzativi per prevenire gli illeciti.

È il banchiere di più lungo corso rimasto in Italia. Fattosi le ossa nel far resuscitare il Banco Ambrosiano fino a inventarsi Intesa San Paolo. Ha sempre fatto dell’etica (cattolica) una ragione di vita e non ha mai nascosto le simpatie per il centrosinistra. Ora però l’85enne bresciano Giovanni Bazoli andrà a processo con una accusa molto grave: aver controllato due banche concorrenti ed aver impedito i controlli della autorità competenti.

IL CONFLITTO DI INTERESSI è gigantesco. Secondo i magistrati di Bergamo mentre continuava ad essere presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo (ora è presidente emerito), Bazoli controllava anche Ubi, istituto terzo in Italia per numero di sportelli e più forte del territorio fra Bergamo e Brescia, dove «il professore» è una istituzione da decenni.

Le accuse: omesse comunicazioni e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità di vigilanza e aver influenzato illecitamente le decisioni dell’assemblea del 2013 in cui si determinò la governance di Ubi, gestendo le nomine.

Il tutto nell’ ambito di un’intesa nascosta a Consob e a Bankitalia (quest’ultima a differenza di Consob non si è ancora costituita parte civile nell’udienza preliminare, ma del resto abbiamo visto a Trani che Stato e Bankitalia non si costituiscono mai….. sarà forse che UBI possiede oltre l’1% del suo azionariato).

Ecco, la prima particolarità del caso Ubi è questa: qui non si parla di soldi. In questa vicenda non è girato un euro e non esiste nessun risparmiatore arrabbiato. L’indagine della procura di Bergamo, cominciata nella primavera del 2014, si concentra sull’accusa di ostacolo agli organismi di vigilanza e di indebite influenze sulla formazione dell’assemblea.

Occorre fare un passo indietro, esattamente alle ultime settimane del 2006, quando i consigli di amministrazione di Banca Popolare di Bergamo e di Banca Lombarda, guidate rispettivamente da Emilio Zanetti e Giovanni Bazoli, approvano i patti fondativi della nuova banca.

Si tratta, oltre del progetto di fusione e del protocollo di intesa, anche dello statuto e del regolamento comitato nomine.

Nel marzo del 2007, dopo l’approvazione del documento informativo da sottoporre alle assemblee delle due banche per la fusione da parte di Banca d’Italia e Consob, nasce ufficialmente Ubi Banca.

Il 9 maggio 2009 l’assemblea di Ubi approva delle modifiche allo Statuto, per adeguarlo alle disposizioni della Banca d’Italia del 4 marzo 2008.

Viene comunque ribadito il “principio di pariteticità” tra le due anime della banca, quella bergamasca della derivazione Bpu e quella bresciana della derivazione Bpl. Un principio che era già alla base dei patti fondativi.

Si arriva poi al momento incriminato, vale a dire l’assemblea dei soci del 2013.

Oltre la lista di Moltrasio (Lista “Consiglio di Sorveglianza”) di presentano anche la lista di Andrea Resti (Lista “Ubi Banca Popolare”) e quella dell’ex parlamentare di Forza Italia Giorgio Jannone (Lista “Ubi Banca ci siamo”).

Si presentano a votare circa 13500 soci.

La lista di Moltrasio si aggiudica il 53,5% con 7318 voti e la lista di Resti il 34,3% con 4693 voti, mentre quella di Jannone si ferma all’11,3% con 1548 voti.

Gli sconfitti non ci stanno. Jannone protesta e, dopo gli esposti dell’Adusbef di Elio Lannutti e dei consiglieri di minoranza della lista Ubi Banca Popolare, parte l’inchiesta della Procura di Bergamo. Quasi contestualmente parte l’indagine di Consob.

Secondo l’ipotesi accusatoria, esisterebbe una sorta di patto occulto all’interno della banca.

Un patto nascosto al mercato, a Banca d’Italia e alla Consob, teso a mantenere il controllo di Ubi tra le due associazioni che diedero vita all’istituto, Ablp e Amici di Ubi.

Ipotesi non ravvisata da Banca d’Italia, (cieca dal 1981) che nel 2010, 2011 e anche nel gennaio 2013 conferma di essere a conoscenza del regolamento del Comitato nomine di Ubi.

L’inchiesta nel frattempo prosegue su due binari paralleli.

Da una parte la Procura di Bergamo e dall’altra la Consob, che nel 2015 sanziona i membri del consiglio di sorveglianza di Ubi per omissione comunicativa nelle relazioni sulla governance e li condanna a pagare 895 mila euro.

Nel frattempo i pm bergamaschi indagano anche sull’ipotesi di reato di truffa e sulla presunta raccolta di deleghe in bianco o false e il rastrellamento di voti in vista dell’assemblea del 2013.

Bazoli reagisce così: «Nessun ostacolo alla vigilanza da parte mia. Prendo atto della decisione, che era prevedibile in considerazione dei limiti propri dell’udienza preliminare. Il dibattimento sarà certamente la sede più adeguata per accertare che l’intero impegno da me dedicato alla nascita e all’avvio di Ubi è stato improntato alla massima correttezza e trasparenza».

E NOI TI CREDIAMO.

ITALIOTI, CONTINUATE A PARLARE DI SAVIANO E MAGLIETTE ROSSE.

NEL FRATTEMPO, C’E’ CHI HA COMINCIATO FINALMENTE UNA SERIA GUERRA ALLE BANCHE.

 

 

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