Terremoto in Abruzzo: l'università modello era fatta di plastica

«Se le scosse avessero colpito al mattino, sarebbero morti in mille»

Articolo di FERRUCCIO SANSA per La Stampa

Un’università costruita con la plastica. Come i Lego. E non una facoltà qualunque, ma proprio ingegneria, il regno dei progettisti. A guardare le tonnellate di detriti accumulati davanti alle aule degli studenti si resta di sasso: al posto del cemento armato si trova plastica espansa. Proprio questo avrebbe provocato il crollo che, se i ragazzi fossero stati presenti, era destinato a causare una strage. Ieri mattina decine di studenti si sono presentati davanti ai cancelli di ingegneria, come fosse un giorno di lezione. Ma il motivo era un altro: recuperare i computer e il materiale frutto di anni di ricerche. Così non è stato difficile per il cronista entrare e provare un atroce dubbio, un altro ancora, che il terremoto ha suscitato. E pensare che la facoltà di ingegneria era uno dei fiori all’occhiello dell’università dell’Aquila. Siamo a Roio Poggio, una collina che domina la città e si affaccia sulle montagne. Difficile trovare un ateneo altrettanto suggestivo, una specie di nido in mezzo ai boschi. Proprio per questo gli architetti negli Anni Ottanta avevano disegnato questi edifici dalle immense vetrate affacciate sul Gran Sasso. Un progetto dalla lunga storia che fu ultimato soltanto negli Anni Novanta, con tante imprese che si alternarono nell’esecuzione. Ma alla fine, si disse, ne era valsa la pena.

Oggi, però, a vedere gli effetti del terremoto viene qualche dubbio. L’edificio 1, quello della biblioteca, appare quasi integro. Certo, ci sono stati dei crolli, ma il sisma non è stato una carezza. I guai, seri, invece, si scoprono nel secondo palazzo, quello più frequentato, con decine di aule in grado di ospitare circa 1200 ragazzi. Arrivarci, sgusciando tra i corridoi ingombri di detriti, non è facile. Ed ecco la sorpresa. Le vetrate, appunto. Quello che doveva essere il tratto distintivo dell’edificio ha rischiato di provocare un disastro. Le enormi lastre trasparenti erano sospese a molti metri d’altezza e dovevano essere in grado di resistere ai terremoti. La garanzia derivava dal cemento armato su cui le vetrate avrebbero dovuto poggiare. Ma a quanto pare non era così. Lo dicono i detriti, ma anche i brandelli della struttura rimasti in piedi e ancora visibili. Lo dice chi se ne intende: «Al posto del cemento c’era della plastica», allarga le braccia un vigile del fuoco. Di cemento c’era soltanto un sottile spessore che non ha retto la scossa. Il risultato: tonnellate e tonnellate di materiale sono crollate sulle scale, proprio quelle da cui dovevano fuggire gli studenti. I vigili del fuoco e i professori che ieri camminavano con le torce elettriche per i corridoi bui e deserti dell’università non nascondono la rabbia: «Questa non è un’università, ma una trappola per topi». Tutti indicano le aule: decine, ma sotto il livello del terreno. Un docente allarga le braccia, forse immaginando anche se stesso in cerca di una introvabile via di fuga: «Se la scossa fosse arrivata in una normale mattina di lezione, non si sarebbe stato scampo».

Primo, per i crolli che si sono verificati negli spazi dedicati ai ragazzi. Secondo, perché la scala d’uscita era occupata dai detriti. Ma ancora: se gli studenti e i professori fossero stati all’università, sarebbero stati colpiti da lame di vetro pesanti decine di chili, precipitate da molti metri di altezza. «Qui ci saranno un sacco di cose da chiarire», commenta un tecnico dei vigili del fuoco, muovendo con un piede le macerie. Osservando i brandelli di struttura ancora pericolanti. Nei giorni scorsi gli esperti dell’università hanno compiuto i primi sopralluoghi nell’ateneo. Il rapporto con i risultati tra breve sarà completato e senz’altro aprirà un nuovo fronte di indagine. Intanto si sta cercando di risalire alle imprese che hanno realizzato le vetrate. Di distinguere gli eventuali responsabili dalle altre società che hanno compiuto i lavori a regola d’arte. I locali del primo padiglione e della mensa, per dire, hanno retto bene il colpo. Tutto per arrivare a quella domanda: chi ha utilizzato plastica espansa invece del cemento? All’uscita dell’università gli studenti formano capannelli. Si comunicano amarezza e delusione: «Rischiamo di perdere il lavoro di un anno». Un professore si allontana e a mezza voce sospira: «Se sapessero… altro che le ricerche, hanno rischiato di perdere la vita».

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