Ma davvero in Spagna l'accesso all'informazione non è uno strumento di business?

Ok.

Credevo in Spagna fossero tutti all’avanguardia, e probabilmente lo sono, visto che in un quotatissimo complesso a cinque stelle di Ibiza, pare addirittura il migliore dell’isola, non appena provi a connetterti alla rete wi-fii ti becchi in automatico l’apertura di un sito che chiede 15€ al giorno per poter utilizzare il servizio.

Allora, facciamo quattro conti.

In Italia, luogo assolutamente sottosviluppato per quanto riguarda la larga diffusione di una qualsiasi forma di connessione veloce ad internet, eccezion fatta per ogni servizio possibile ed immaginabile relativo ai telefonini, il costo di una connessione wi-fii professionale di un certo livello non supera i 200 euro al mese, che già mi pare una rapina a mano armata.

Supponiamo però che la Spagna sia addirittura più retrograda di noi, ovvero utilizzi dei sistemi di comunicazione prossimi a quelli disponibili nel Burundi: il gradino immediatamente successivo al piccione viaggiatore.

In questo caso, per un complesso alberghiero disporre di un sistema wireless che non si inchiodi al primo minuto di connessione contemporanea di un paio di avventori potrebbe anche avere un costo, esagero, di un migliaio di euro al mese?

A 15 euro di costo al giorno, bastano dieci persone in una settimana che il costo è assolutamente coperto.

Mi trovo in un albergo che può ospitare circa 600 persone, in questo momento è pieno, di fronte a me nella hall c’è un specie di internet point con quattro postazioni, mezz’ora di connessione ti costa la bellezza di 5 euro: i posti sono tutti occupati e c’è pure gente in fila che aspetta di poterlo usare. Per carità, non sono in tanti psicopatici che come me viaggiano con un netbook e quindi utilizzano gli accessi internet presenti in hotel, ma sono pronta a scommettere a soldoni che il business della rete rappresenti uno ottimo introito per l’albergo, forse anche più delle consumazioni extra non comprese nel super all inclusive.

Purtroppo questo mi porta ad una riflessione di una certa importanza, nonostante mi trovi in vacanza nell’isola della trasgressione, coperta di nuvole accidenti: fino a quando l’accesso all’informazione libera rappresenterà più un metodo per raggiungere un profitto piuttosto che qualcosa da rendere accessibile a tutti, ogni Paese in realtà resterà retrogrado.

Mi si potrebbe dire: ma sei in vacanza, non è ora di lasciare le pippe mentali e preoccuparsi invece di divertirsi? Certo che si, tutto vero. Ma posso dire che questa cosa mi altera vorticosamente le ovaie???????

Libero accesso alla rete per tutti, che diamine!!!

Vi racconto come le banche rovinano le micro-imprese italiane: storia di un errore di cui nessuno si assume la responsabilità. La risposta del Ministero dello Sviluppo Economico.

Oggi farò qualcosa che non amo particolarmente: parlerò di me, o meglio, di parte del mio lavoro. E di come, nonostante l’impegno, la correttezza, le garanzie e quant’altro, esiste sempre qualcosa al di fuori della tua volontà che vanifica tutti i tuoi sforzi: il sistema bancario italiano.

Ne parlo oggi perchè ho ricevuto una mail dal Consigliere per le relazioni esterne del Ministro Scajola, Gian Andrea Cerone, a seguito di una mia missiva, mandata a tanti, troppi forse, parlamentari, governo, associazioni, quotidiani e non mi ricordo neppure più a chi. Gian Andrea Cerone è l’unico che mi ha risposto, anche se a distanza di due mesi, tempo comprensibile.

Vado per ordine.

Si parla tanto di crisi economica, ma da chi è stata causata?

Qualche idea, nel mio piccolo, me la sono fatta: gli speculatori.

In Italia i peggiori si chiamano banche: fino a che hanno potuto, hanno sfruttato il monopolio del sistema creditizio, applicando tassi di interesse e spese assurde e non giustificate o giustificabili.

Mi ricordo, ad esempio, un articolo del Decreto Bersani che eliminava le spese di chiusura di un conto corrente. Ebbene, in quel periodo ho cambiato banca, chiudendone due in Banca Intesa. Per entrambi mi sono vista addebitare circa 60 euro ciascuno con la dicitura “chiusura”; a tutt’oggi, nonostante le mie richieste, non si sa per quale motivo: ovviamente non sono stati rimborsati.

Che fine facevano i nostri soldi? Semplice, seguivano linee di investimento, ma non di quelle che vengono proposte ai clienti, perchè hanno una rendita ridicola. No, le banche prendono soldi, addebitano spese, interessi e via discorrendo, e li investono guadagnandoci. Alta finanza, la chiamano.

E quando questi investimenti si traducono in perdite? Bè, è crisi economica.

Semplicistica visione, lo ammetto
, per di più appartenente ad un piccolissimo imprenditore che certo non vanta grandi conoscenze economiche o finanziarie, ma solo una discreta esperienza personale nei rapporti con le banche. La sottoscritta, per l’appunto.

Il concetto di restrizione del credito alle micro-imprese non mi ha mai toccato più di tanto, fino allo scorso anno, per la precisione a dicembre 2008.

Anno difficile, difficilissimo, specie per chi come me opera nel campo automobilistico, nell’occhio del ciclone per questa crisi. E badate bene, non fatevi influenzare dai media: trattasi di crisi di produzione, non di vendita. Tanto è vero che se oggi ordini una vettura, di qualunque marca possa essere, la aspetti e subisci ritardi di consegna. Ma non voglio entrare nel merito di questo discorso, perchè esula da quanto voglio dire oggi.

Anno duro il 2008, le aziende sono state sommerse da oneri finanziari quasi raddoppiati, nonostante i tassi di interesse siano al minimo storico. Avete mai provato a presentarvi in banca dicendo questo? La risposta è sempre quella, ma voi pagate con l’euribor a tre mesi, dovete aspettare questi tre mesi per vedere qualche miglioramento. E quando il tempo passa, allora la scusa è un’altra: è vero che i tassi sono diminuiti, ma le banche aumentano lo spread: la sostanza è che non cambia un’accidente.
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