Siamo arrivati al Britannia 2?

Il 2 giugno 1992, con il cadavere del Giudice Falcone ancora caldo, aveva luogo in tutta segretezza un altro avvenimento che avrebbe portato l’Italia sul bordo del baratro.

C’è chi dice che sia una semplice leggenda metropolitana, ma in realtà a bordo del “Britannia”, yatch della Corona Inglese, si incontrarono i più importanti  uomini d’affari e politici del momento in Gran Bretagna, con addirittura la Regina a fare gli onori di casa: dirigenti della Barclay’s, quelli della Baring & Co. e della Warburg.

Fin qui nulla di particolarmente eclatante, se non fosse che si erano ritrovati per accogliere alcune tra le più grandi personalità politiche ed economiche italiane: l’allora Ministro del Tesoro Mario Draghi,  rappresentanti dell’Eni, dell’Iri, dell’Agip, dirigenti dell’Ambroveneto, della Banca Commerciale, delle Generali e delle Autostrade.

Qual’e fu lo scopo di un incontro tenuto così segreto?

Discutere le mosse per liquidare e cedere a interessi privati multinazionali alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro Paese. Una vera e propria svendita, tanto che Draghi avrebbe detto agli ospiti inglesi: “Stiamo per passare dalle parole ai fatti”.

La risposta degli inglesi fu semplice: la City di Londra era pronta, ma la dimensione della borsa italiana era troppo piccola per assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni, pertanto dovete venire a Londra dove c’è il capitale necessario.

Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell’urgente necessità di privatizzare per ridurre l’enorme deficit del bilancio.

E tutti nascosero l’unica verità, scopertasi anni avanti: le privatizzazioni interessavano i grandi istituti bancari  londinesi e newyorkesi, ovvero gli associati della Goldman Sachs, della Merril Lynch e Salomon Broghers e dei loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell’OCSE e nel mondo dei mass media.

Quel periodo di privatizzazioni, che coincise con la fase calda di mani pulite, si concluse con la svendita dell’Iri, dell’Efim, con il ridimensionamento dell’Eni: la beffa? Il buco delle casse dello Stato rimase ed iniziò anzi ad allargarsi a macchia d’olio, proprio perchè privato per due soldi di aziende produttrici di gran parte del pil nazionale, per di più pagando uno sproposito agli inglesi il compenso provvigionale. In realtà il debito pubblico venne ridotto inizialmente dell’8%, ma come tutti sappiamo questa riduzione durò uno sputo di tempo.

Fateci caso.

Il discorso delle dismissioni del patrimonio statale è tornato in auge con grande accanimento mediatico: il Corriere della Sera pubblica almeno un trafiletto sulla necessità di vendere ogni giorno, trafiletto a dir poco visto che normalmente sono i fondi della prima. Repubblica, Unità, tutti a ruota. La Rai poi non parliamone. Si sentono cifre incredibili, che vanno da un minimo di 500 miliardi di Euro di entrata fin al milione di miliardi.

Per intanto abbiamo  ceduto Telecom, e neppure l’Albania ha venduto un’azienda strategica di importanza fondamentale; Enel ha venduto ai russi delle partecipazioni, ma tutti tacciono. Air France e KLM si preparano ad acquistare Alitalia, sottolineando però che vogliono solo la parte buona, giusto, perchè i debiti ce li becchiamo noi, come con l’Imu utilizzata per salvare MPS, banca fallita a causa delle ruberie dei suoi dirigenti e dalle collusioni politiche. E già di parla di Finmeccanica, che controlla anche le industrie aereonautiche italiane, delle partecipate comunali che rendono, ma serve una modifica costituzionale per questo, e forse, se abbiamo culo, la maggioranza non riuscirà a portare avanti questo scempio.

Ma io lavoro in mezzo alla gente, e sono sconvolta dal lavaggio del cervello che subiscono, pare che la maggior parte sia lobotizzata: ah, se vendessimo le aziende in perdita, allora il debito diminuirebbe e noi avremmo più soldi in tasca.

Due osservazioni: chi compra un’azienda in perdita, praticamente non la paga.

La seconda: se fossero anche vere le più positive valutazioni del patrimonio italiano, già smentite da addetti al settore che le hanno praticamente ridotte ad un decimo come valore di mercato, bè, fosse anche che Letta o chi per lui, al posto di andare in Europa con il cappello a chiedere l’elemosina dimostrasse di ottenere quel miliardo di euro, sapete quanto è ad oggi il debito pubblico italiano?

Vi rimando ad un sito interessante, Italia Ora: mentre sto scrivendo, il debito pubblico italiano è di 2.070 miliardi di euro.

Ce ne ne facciamo di un miliardo di Euro?

Non sarebbe più economico risanare le aziende, riportarle alla produzione del pil, non dare premi milionari ma calci in culo a presunti dirigenti che le saccheggiano, obbligandoli a restituire il maltolto e magari inserendo un reato con questo malcostume italiano, tornare a stampare moneta ed in sostanza tornare ad essere una REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SUL LAVORO. LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO CHE LA ESERCITA NELLE FORME E NEI LIMITI DELLA COSTITUZIONE.

Ma fino a che Mario Draghi sarà nelle stanze del potere, l’Italia continuerà ad essere svenduta, e siamo purtroppo ad un passo di un Britannia 2, ma le conseguenze in questo momento sarebbero persino peggiori dell’affondamento del Titanic.

E’ arrivato il momento di ribellarsi al mondo finanziario, che illude i politici di governarne mentre sono solo manichini nelle loro mani. Riprendiamoci la nostra sovranità.

Per la memoria dei partigiani che hanno perso la vita per darci la libertà che oggi ci sta venendo sottratta giorno dopo giorno. Ritroviamo lo spirito unitario e cacciamo l’invasore.

 

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Una risposta a “Siamo arrivati al Britannia 2?”

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