Lettera ad un padre che non la leggerà mai

Io non credo che ti darò mai questo scritto, neppure poco prima di morire, perché credo che chiunque abbia il diritto di terminare la propria vita terrena con tranquillità, senza che altri aprano forzatamente gli occhi su qualcosa che tanto tenacemente si è evitato di affrontare. In definitiva il giudizio non spetta certo a me, e chissà mai che quando si varcherà la soglia dell’altro mondo, ci si renderà conto di quanto si è lasciato indietro.

Stamattina, come sempre, hai dimostrato di non voler neppure ascoltare tua figlia e di dare sempre per scontato che la verità propenda da una sola parte. Nonostante tu non sia mai presente,  ti permetti di giudicare e di dare credito ad una versione come se lo fossi.

Ed allora perché, caro papà, se tu sei sempre stato presente, quando mia madre mi aggrediva, di nascosto da tutti, quando mi picchiava con giornali, con le bacchette degli armadi, quando mi umiliava, sbattendo tutti i miei vestiti per terra e dicendomi che le facevo schifo, quando mi obbligava a chiudermi nei miei silenzi e nel mio dolore per non permetterle di farmene altro, attività che le dava molta soddisfazione, perché se tu eri presente, non hai fatto nulla per evitarlo?

Non pretendo di essere una santa,  ho il mio carattere come tutti, eppure ho sempre pensato che la verità sta nel mezzo. Quotidianamente mi viene dimostrato il contrario: la verità sta dalla parte di chi fa meglio la vittima, provoca ed aggredisce evitando testimoni, parla per primo e, recitando alla perfezione, stravolge la realtà.

Ieri sera eravamo in quattro in casa, mia figlia che vomitava, mio marito, mia madre ed io. Mia madre è andata via sbattendo la porta, urlando che non mi merito nulla né come figlia né come persona, il tutto perché io ho osato ripeterle di darmi lo spazio per rivestire la bambina. E’ vero, alla quarta volta  o quinta che lo ripetevo, mentre la bambina piangeva e lei era in mezzo capace solo di criticare, io ho perso la pazienza. Ma non ho fatto scenate.

La cosa che più mi ferisce è che mio marito era presente, ha visto tutto e sentito tutto, ha sentito anche come tu stamattina mi hai condannata senza possibilità neppure di replica e le parole durissime che mi hai detto, e non è intervenuto, per il quieto vivere, o forse per compassione. E così, come sempre, non è bastato uno schiaffo da una parte, puntuale è arrivato il pugno allo stomaco dall’altra.

In tutti questi anni ti è mai venuto anche solo il dubbio che probabilmente tutto quello che dice tua moglie non è oro colato? Non ti sono bastati cinquant’anni insieme per comprendere che persona è?

Eh no, bisogna sempre prendere le sue difese, senza accertarsi dell’accaduto, perché lei è la madre ed io la figlia.

Ti auguro di cuore che mai ti capiti di vederti condannato senza possibilità di replica, perché un processo equo è il diritto di ogni essere umano. Ed è doloroso vedersi tolto questo diritto, e tacere, per il rispetto che probabilmente comportandosi così non si meriterebbe neppure.

Se tu eri presente ieri sera, perché non sei intervenuto?

Ho il diritto di dire, da madre, che preferirei che mia figlia non mangiasse determinate cose?  Evidentemente no, perché così facendo commetto un reato mortale. Allora è bene che io faccia da sola. No, perché così sai che succede? Che mi viene rinfacciato di usare la bambina come ricatto morale, tenendomela invece di lasciarla a voi.

E’ strano che due persone che si ritengono tanto infallibili nel loro ruolo di genitori ed educatori non riconoscano la stessa istituzionalità quando questo ruolo è di altre persone.

Tu a parole potresti rispondere che non è vero, ma i fatti parlano diversamente.

Ho chiesto di lasciar mangiare la bambina da sola, certo, è più difficile, ma ho i miei motivi che voi non conoscete semplicemente perché non mi sembra necessario aggiungere preoccupazioni. Eppure voi persistete nell’imboccarla, tanto avrà tempo per mangiare da sola. In questo modo andate contro il sistema educativo che sto faticosamente cercando di portare avanti, e non senza errori, e le fate del male, perché la bambina all’asilo è presa in giro per questo ed è isolata, ma voi non lo sapete. Credete di fare il giusto, ma l’assurdità è che non ascoltate nulla di quello che vi viene detto, perché date per scontato che avete ragione. Questi sono i fatti, le parole le lascio a voi.

Un esempio come tanti, potrei continuare.

Il vostro aiuto nel crescere mia figlia è sicuramente stato importante, come la vostra presenza. Ma i limiti sono nel non accettare di mettersi in discussione e nel non capire che i tempi si sono evoluti, e che il vostro ruolo è quello di nonni e non di genitori.

Criticate qualunque cosa od atteggiamento che non arrivi da voi. Sempre.
E’ giusto? Non credo, ma cerco di rispettare le posizioni. A quasi quarant’anni non sarebbe male che venissi rispettata allo stesso modo.

Ora che sono madre non puoi immaginare quante volte mi sono chiesta: ma davvero una madre può fare questo? Davvero può portare sofferenza alla propria figlia, sapendo di farlo, e mentire a se stessa e al mondo solo perché questo la gratifica e le fa sembrare più sopportabile i sopprusi che crede di aver subito nella sua vita?

No.
Lo voglio urlare questo No.

Sarò la prima a sbagliare, ma non passa giorno in cui non parlo con mia figlia, dicendole di dirmi sempre se la faccio soffrire in qualche modo, di spiegarmi come e perché. Sai, vivrò male sicuramente il ruolo di madre, non so, ma credo che se la mia vita è stata dolorosa non deve esserlo per forza anche quella di mia figlia. Se la mia vita è fatta di sacrifici, non deve esserlo per forza anche la sua. Se io faccio qualcosa per lei, in quello che ritengo un mio dovere morale verso chi ho deciso io di mettere al mondo, non devo sbatterglielo in faccia tutti i giorni e pretendere assoluta riconoscenza e devozione, qualunque cosa io dica o faccia senza preoccuparmi di calpestarla.

I figli non devono essere uno strumento dei genitori, ma una possibilità di crescita, con loro e per loro.
Una madre non può godere della sofferenza della figlia. Non può storpiare la realtà per il suo amor proprio fregandosene dei figli.

Sai cosa dico ogni giorno a mia figlia? Che la amo, perché è vero. E lei deve crescere con la consapevolezza di questo amore, perché forse è l’unica eredità che le lascio ma è la più importante. Meglio di sentirsi ripetere fin da piccola che sei un errore, che non sei mai stata voluta, che per colpa tua i rapporti con tuo marito sono diventati insostenibili, che per colpa tua sei finita in ospedale, dove ti hanno bruciato di tutto. Che per colpa tua ha dovuto andare a pulire bagni, mentre se tu non ci fossi stata non sarebbe successo. Quante altre belle parole ho ricevuto, mentre tu non c’eri ma credevi di esserci. E le ho tutte segnate dentro di me.

Ringrazio mia madre perché, non volendo, mi ha insegnato cosa non dire a mia figlia. Le farò del male in altro modo forse, ma non  in questo. E se, Dio non voglia, dovesse succedere, sarà sempre più che involontario.

Io non voglio vedere mia figlia che versa una sola lacrima per causa mia. L’ho già fatto io per tutti.
Il risultato? Aggressività, una maschera ben costruita negli anni per proteggersi e per fingere di dimenticare la sensazione che ti accompagna da sempre, di essere sola.

Mi ricordo la sera in cui sono tornata a casa vostra, dopo che il pomeriggio mia madre mi aveva sbattuto addosso valigia, mi aveva messo le mani addosso e mi aveva urlato di andarmene e non farmi più vedere. La causa scatenante? La richiesta di una camicia stirata, che si era proposta lei di stirare senza che nessuno glielo chiedesse.

Quel pomeriggio avevo girovagato piangendo. Avrei potuto venire da te e anticipare mia madre, non l’ho fatto. Mi sono presentata a cena, non ho neppure potuto parlare, ero già condannata. Ti ricordi quello che mi dicesti? Io si. Tutto. Ogni singola parola. La durezza dell’espressione, tutto. Senza il minimo contraddittorio. Democratico?  Voglia di chiarire? Desiderio di sentire l’altra campana e di parlare con il proprio figlio? Lascio a te la risposta, sincera, con te stesso. Io ricordo solo, o così o fuori. I lividi di quello che mi ha tirato addosso mia madre li ho portati per una settimana, le cicatrici le ho tuttora.

Ti sei presentato dopo un mese che non vi vedevo né vi sentivo nel mio ufficio, con una lettera che conservo e che leggo ancora, non perché mi abbia insegnato qualcosa, anzi, forse si, cosa non fare se dovessi mai dover recuperare un rapporto con mia figlia. La conservo soprattutto perché rileggendola so che io non sono quella che tu hai descritto, fino con cattiveria. Chiunque l’ha letta, miei fratelli compresi, hanno avuto solo un commento: è la prova di quanto poco ti conoscono.

Un mese senza sapere nulla di tua figlia, ti ripresenti sbattendole la porta nuovamente in faccia. Con la pretesa che io me la prenda per la colpa incredibile che ho commesso, magari mi si spiegherà quale prima o poi.

Ogni tanto mi chiedo, ma se aveste avuto una figlia drogata, ladra, una delinquente, sarebbe cambiato qualcosa?
Sai che significa crescere sentendosi sempre inadeguati, ogni cosa che fai, ogni sforzo, non basta mai. Sei sempre quella che non doveva nascere e che per questo deve perennemente dimostrare che la sua vita ha un valore, persino a chi l’ha generata.

Vedi papà, io ti ho sempre visto come il mio eroe, ho sempre avuto per te parole di stima e di elogio, Dio mi è testimone del modo in cui parlo di te. Ma quando mi trovo sola, rifletto. E penso, ma  questo eroe come può credere di essere sempre nella ragione, andando a senso unico? Questo eroe non ha mai il minimo dubbio che forse non è tutto come gli raccontano?

Credi che sia bello sentirsi dire da sconosciuti, dopo aver parlato con mia madre, che sono una mamma disattenta e poco presente, che ho un carattere bruttissimo e aggressivo e non so che altro? E’ bello veder messi in piazza i tuoi fatti privati, senza nemmeno dirtelo, e poi arrabbiarsi se si fa notare che si può evitare questo comportamento, arrabbiarsi adducendo la scusa perenne: a te non si può mai dire niente.

Il carattere non è un fattore di nascita, lo sapevi? Si crea con le esperienze di vita, si plasma in quel modo. Ecco perché si parla di “formazione”.  Ad esempio, il fatto che tu non ridi spesso, che hai sempre una maschera dura, non si capisce mai se sei felice o no, sembra sempre che tu sia arrabbiato con qualcuno, forse con il mondo intero: io lo so che le esperienze che hai avuto tu induriscono. E so che è difficile trasmettere i propri sentimenti così, perché c’è sempre una barriera. Tu ti sei mai chiesto cosa ci fosse alla base dei miei scatti? Quali esperienze?

Non è un atto d’accusa, è un modo per  farti capire una parte di me, la più grande, che va oltre ogni apparenza e che nessuno nella mia famiglia ha mai avuto interesse a conoscere. Forse scomoda, perché come faccio con me stessa, nonostante quello che tu possa pensare, spingerebbe anche te a metterti di fronte alla tua coscienza. Non si può mentire a se stessi. E’ il peggior peccato.

Il secondo? L’orgoglio.
Serve a qualcosa? A nulla.
Il terzo? Il non saper perdonare. Perché quando qualcuno chiede scusa, pur sapendo di non essere l’unico responsabile, basterebbe una stretta di mano, anche senza una parola. Sarebbe tutto diverso. E invece il vomitare rancore alla lunga inibisce i rapporti.
E cresce la voglia di andare via.

Tu credi di farmi un piacere a tenere la bambina a mangiare con voi la sera? Chiedi a mio marito come lo vivo, e perché, nonostante preferirei mille volte averla con me, la lascio. Figurati che il risultato non è solo alle prime occasioni rinfacciare quello che si fa, ma l’esagerazione di ergersi ad unico e infallibile educatore.

Mi rispetto come mamma, con tutte le mie enormi ed incredibili pecche. Sono solo all’inizio, la sfida è ardua, ben più di quarant’anni fa. Per la consapevolezza del mio ruolo, non posso più tollerare oltre queste assurde prese di posizione.
No grazie, non ho bisogno.
Non sono la prima né l’ultima, me la cavo da sola.

Chissà se dimostrerai di aver capito, evitando, per la prima volta da più di tre anni a questa parte, di lanciarmi merda addosso, seguendo l’isteria e la perfidia di tua moglie.
Mia madre perché mi ha messo al mondo, con quello che ho vissuto e nonostante tutto il sincero affetto che provo per lei, non la considero altro. Non posso farlo se voglio salvaguardarmi. Una mamma non fa quello. Una mamma non da pungi al pancione della propria figlia, perché in quel momento era stanca e poco disponibile. Una mamma non nasconde l’amore che prova, se lo prova. Una mamma vive per dare una possibilità migliore alla propria figlia. Una mamma vive per la gioia della propria figlia, e malgrado tutti i difetti che possa avere, per una vera mamma sarà sempre la migliore figlia al mondo. Una mamma non augura alla propria figlia un futuro di sofferenza, solo perché nella sua mente io sono la causa di tutti i mali della sua vita. E poi sono io che mi scarico sugli altri?

Oggi non riesco a parlare, con nessuno, solo con la piccola.
Recrimino a mio marito di essere stato zitto per l’ennesima volta, di non aver detto la verità. Ma forse è meglio così. E’ la dimostrazione che io sono diversa da lei, non corro dal marito raccontando quello che voglio e come voglio sapendo che poi questo causerà una reazione inconsulta verso di lei.
Niente parole, solo lacrime. E questa lettera, immensa, senza fine, una diga che si sta aprendo.

Papà, io ho davvero solo una domanda. Come puoi accettare questo?
Forse non sei tu il vero eroe.
Comincio a credere di esserlo io.

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