La guerra in Libia: cui prodest?


 

 

A chi giova davvero una eventuale guerra in Libia?

Sembra ormai che si sia alla ricerca disperata di far scoppiare una guerra in qualsiasi parte del mondo, ne basta una.

Mi ricordo ancora la fretta della Francia di Sarkozy che, senza aspettare alcuna risoluzione ONU, fece partire i i suoi caccia e cominciò la battaglia contro il dittatore Gheddafi: si, colui che certo non uno stinco di santo, però era riuscito a portare il suo Paese ad un livello di benessere che noi oggi ci scordiamo, e che non si ricordano neppure più i libici dopo il passaggio della democrazia USA-NATO-EU?

 


Questa immagine è emblematica di quanto accadde solo pochi anni fa: uno Stato distrutto, consegnato nelle mani di ribelli incivili, con la scusa di deporre un dittatore, mentre la realtà ormai la conoscono tutti, anche coloro che vogliono fingere di non vederla: INTERESSI ECONOMICI.

Ogni guerra è spinta da quelle due magiche parole, poco importa se costa vite umane e la distruzione politica ed economica di chi viene attaccato. Abbiamo il coraggio di chiamarla democrazia?

Dunque, fatemi capire.

Nel 2011 la guerra contro la Libia sembrava qualcosa di assolutamente necessario per cacciare il dittatore e riportare la democrazia.

Il dittatore è stato trucidato, la democrazia, come può vedersi qua sopra, quella di esportazione USA è stata instaurata.

Adesso a cosa serve una guerra in Libia?

Scrive il Fatto QuotidianoGheddafi non era ancora morto quando l’inviato del Corriere della Sera metteva piede nel suo bunker e scriveva: “Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane”. Non è più un segreto per nessuno: l’Italia che oggi si interroga in chiave anti Is sull’opzione militare in Libia ha armato fino ai denti il regime e probabilmente le fazioni di ribelli che l’hanno fatto cadere. Indirettamente ha rifornito pure gli jihadisti, che ora quelle armi se le prendono a forza mentre avanzano dalla Cirenaica alla Tripolitania. Ma in Parlamento quasi nessuno lo sa. I politici italiani poco o nulla discutono e sanno di sistemi d’arma e di forniture militari, e tuttavia sono gli stessi che presto potrebbero essere chiamati a prendere una decisione su un eventuale intervento delle Forze armate, con tutte le conseguenze del caso per gli italiani e la sicurezza nazionale.

Bene, quindi veniamo a scoprire il segreto di pulcinella, che solo i nostri “politici” non conoscono: l’Italia negli ultimi anni ha fatto miliardi con l’esportazione di armi in Libia, peccato che, nonostante la legge lo richieda, in Parlamento non se ne parli da anni (leggi il link)

Sempre dal Fatto Quotidiano: E che cosa dice l’ultima relazione sull’export di armi? Che il conflitto, finché non bussa alle porte, fa bene all’Italia. Per quanto opaco e approssimativo, il documento certifica che nel 2013 non c’è stato alcun crollo nelle esportazioni di sistemi militari italiani come sovente sostenuto dalle imprese e da ambienti della Difesa: sono stati infatti spediti nel mondo armamenti made in Italy per oltre2,7 miliardi di euro (€2.751.006.957), cioè solo poco meno della cifra-record realizzata nel 2012 (€2.979.152.816): un calo quindi (del 7,7%) ma non certo un “crollo”. E dunque l’Italia che vuole imporre la pace nel mondo continua ad armarlo alla guerra. C’è di più: nel 2013 si è registrato un record di autorizzazioni e di esportazioni di sistemi militari proprio nella zone di maggior tensione del mondo. Su un totale di 2,1 miliardi di euro di esportazioni autorizzate, oltre un terzo (709 milioni) sono state rilasciate ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Anche il 29,4% dei sistemi d’armamento, per una cifra pari a 810 milionidi euro, sono stati effettivamente esportati verso questi paesi e nelle zone più calde e conflittuali. Un record ventennale, si diceva, che la Relazione omette però accuratamente di segnalare ai Parlamentari. Casomai, è inteso, la leggessero. 

Ma se la realtà fosse diversa?

O meglio, più completa?

La Libia è in mano ai terroristi, piaccia o no, li hanno messi le missioni Nato del 2011.

Ma c’è molta più carne al fuoco.

Il fondo sovrano Libyan Investment Autority possiede l’1,15% di Eni, il 2% di Finmeccanica. La Central Bank of Lybia ha il 3% di Unicredit. La Lybian Post Telecommunications Information Technology Company possiede tramite una società lussemburghese il 14,78% di Relit, società quotata che si occupa in Italia di 7.700 km di fibra ottica. Il vertice del Gruppo Liptic possiede il 55% di Sirti, sempre telecomunicazioni. Si parla di circa 11 miliardi di affari e dietro tutti spunta la Fratellanza Musulmana.

Per anni le autorità di Tripoli hanno usato i proventi del petrolio per entrare nel nostro capitalismo. Ma ora, a chi finiranno quelle azioni???

Forse non è ancora chiaro.

Lo scriverò a caratteri cubitali.

CHI VINCE IN LIBIA SI ASSICURA QUOTE FONDAMENTALI IN TUTTI GLI ASPETTI STRATEGICI DELL’ECONOMIA ITALIANA.

Ecco a cosa serve la guerra in Libia.

All’Italia, che negli anni scorsi ha speculato sugli armamenti, e a chi vuole mettere mano sugli assets fondamentali del nostro Stato.

Ecco, non vorrei trovarmi a breve nella stessa situazione della vignetta qua sotto: NATO NO GRAZIE.

VOLETE LA GUERRA? OK, FACCIAMOLA NEGLI USA.

 

 

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2 Risposte a “La guerra in Libia: cui prodest?”

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