La cassa integrazione uccide le aziende.

Io sono dipendente di un’azienda tessile che utilizza la cassa integrazione, perchè in un momento di crisi tanto forte, strozzata dalle banche, ha pensato che fosse l’unica via da intraprendere per riuscire a sopportare i costi di tanti lavoratori.

Vivendola di persona, posso dire con certezza una cosa: la cassa integrazione ammazza l’azienda.

Si, per diversi motivi.

Il primo: rende la produzione scostante.

Un imprenditore dovrebbe essere libero di poter utilizzare la forza lavoro a seconda delle proprie esigenze produttive, avendo la possibilità di ridurre i costi in momenti di calo di produzione, per poi essere pronto ad incrementare gli investimenti in caso contrario. In presenza di lavoratori non più produttivi, la burocrazia italiana impone al contrario all’imprenditore di mantenere anche dipendenti improduttivi, causando un aumento dei costi che inevitabilmente si ripercuote sulla competitività del proprio prodotto, soprattutto verso concorrenti stranieri che non hanno questi vincoli. Se il lavoro non riprende, la chiusura è l’unica soluzione e questo comporta la perdita di lavoro anche per coloro che al contrario risultano produttivi per l’azienda.

Lo Stato dovrebbe tutelare i lavoratori momentaneamente licenziati in modi diversi, che vanno da un welfare privato fino ad una serie di ammortizzatori sociali alla scandinava, con l’introduzione di un reddito minimo di sopravvivenza.

Secondo: la cassa integrazione riduce drasticamente gli emolumenti.

Per assurdo, negli ultimi anni la tassazione è aumentata esponenzialmente e di pari passo sono diminuiti i servizi, a causa del costo del debito pubblico e dei vincoli posti dal patto di stabilità. La cassa integrazione potrebbe avere un senso nelle situazioni di crisi temporanea o di ristrutturazione cui faccia seguito un ritorno alle condizioni occupazionali originarie. Ma se queste condizioni non si possono riprodurre, per via della crisi, della concorrenza internazionale, dell’evoluzione tecnologica, si deve poter recidere il rapporto di lavoro, perché è l’unico modo perché l’azienda si possa salvare dalle difficoltà e realizzare un percorso di ristrutturazione che la riporti a condizioni di profittabilità.

Invece in Italia questi paliativi non fanno altro che aggiungere costi ai cittadini, e da qui l’aumento del prelievo fiscale, e diminuire il loro potere d’acquisto, causando il crollo della domanda interna, ormai giunta persino al settore alimentare.

Solo in Italia la perdita del lavoro è vissuta come un dramma catastrofico, mentre, se esistesse un minimo di flessibilità come in altri Stati,  dove con un po’ di spirito di sacrificio e di capacità di adattamento una soluzione si trova, la situazione sarebbe ben diversa.

Terzo. La cassa integrazione produce lavoro in nero che induce concorrenza sleale a chi invece lavora regolarmente.

Un esempio? Bè, quando il lavoratore è in cassa integrazione, è incancrenito nei confronti del datore di lavoro, sta a casa e si cerca un lavoretto alternativo per riuscire a guadagnare quello che manca dal suo stipendio: chi va ad imbiancare, chi fa le pulizie e chi più ne ha ne metta.

Allora, quale potrebbe essere la soluzione?

Innanzitutto una riduzione drastica del costo del lavoro, finanziata dagli tagli agli enormi sprechi della spesa pubblica e da una VERA lotta all’evasione, senza sconti per nessuno, anzi, introducendo un reato penale di grande peso. Questo renderebbe vantaggioso ancora alle aziende produrre in Italia, senza delocalizzare dove il lavoro costa un decimo.

In secondo luogo, al posto di indurre il datore di lavoro a ridurre gli stipendi, lo Stato dovrebbe dare un supporto all’azienda per poterli mantenere ad un livello minimamente ridotto: si avrebbero gli stessi costi sostenuti per la cassa integrazione, con la differenza che si avrebbe occupazione più elevata.

Questo eviterebbe anche il calo di motivazione da parte dei lavoratori, che al contrario dovrebbero essere coinvolti più attivamente da parte dell’imprenditore: sono pronta a mettere non una ma due mani sul fuoco, che qualunque dipendente sarebbe disposto a qualche sacrificio pur di rimettere in sesto l’azienda e non perdere il posto di lavoro.

Già, perchè la cassa integrazione è l’anticamera della mobilità e della chiusura, e così i pochi che restano a lavorare  finiscono per pagare per tutti.

La colpa è di chi non capisce niente del mercato e della libertà, vedi la Fornero, e quindi scrive o suggerisce leggi che producono disoccupazione e miseria, salvo poi darne la colpa al mercato.

Ed ora, che il Governo annuncia la stretta sulla cassa integrazione, quante aziende chiuderanno ancora e quanti italiani resteranno senza lavoro?

E come il Governo pretende di diminuire il cuneo fiscale, non avendo la sovranità monetaria?

 

 

 

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