Alitalia, saldi invernali: pubblicità paradossale

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Alitalia saldi invernali.

In questi giorni ovunque ti giri in rete ti appare la pubblicità di Alitalia come l’immagine qua sopra.

Appena vista, non ho potuto fare a meno di sorridere sul suo paradosso: è almeno un ventennio che noi cittadini, dipendenti Alitalia compresi, paghiamo questi saldi, non certo per acquistare un volo, ma per salvare da fallimento CERTO la compagnia aerea di Stato.

Questo è quanto è dato sapere.

Ma Alitalia è ancora compagnia aerea di Stato, ovvero compagnia pubblica?

A me non risulta.

Ripercorriamo un attimo la sua storia.

La vecchia Alitalia fu fondata nel 1947.

Nel 1957 venne fusa con un’altra compagnia, Linee Aeree Italiane, e divenne la prima compagnia aerea del paese. Entrambe le società erano di proprietà dell’IRI, la grande società di proprietà statale che controllava gran parte delle partecipazioni strategiche dello Stato.

Alitalia rimase fino agli anni ’90 controllata al 100% dallo stato (prima dall’IRI e poi dal Ministero del Tesoro).

Gli anni ’60 furono quelli del boom con l’arrivo dei primi aeroplani a reazione (DC-8/43 e Caravelle) ed il raggiungimento di traguardi prestigiosi come il milionesimo passeggero trasportato. Ci fu inoltre il trasferimento della base di armamento a Fiumicino nelle nuove strutture della “Città del Volo“.

Furono gli anni del grande sviluppo: nuovi aerei (entrata in servizio anche del DC-9/30 e del DC-8/62) e tante nuove rotte che portarono l’Alitalia a vantare una rete che si classificava al quarto posto come fatturato, numero di passeggeri ed estensione chilometrica.

Anche l’innovazione tecnologica procedeva di pari passo con lo sviluppo della Compagnia; ad esempio, l’Alitalia fu la prima compagnia europea a dotare i propri aeromobili DC-8/62 di piattaforme inerziali (forniscono al pilota i dati di navigazione senza ausili esterni). Venne anche inaugurato il sistema informatico ARCO per le prenotazioni che, con vari aggiornamenti, credo che sia ancora in uso oggi!

I primi anni settanta (fino alla prima crisi petrolifera del ’73) furono ancora anni di sviluppo: arrivarono i wide bodies (il B747 nel maggio del ’70 ed il DC-10/30 che entrò in linea nel 1973) e la rete raggiunse la sua massima espansione con destinazioni in tutti i continenti.

Furono però anche gli anni in cui la “presenza” della politica nell’azienda si fece molto più marcata iniziando ad influenzare negativamente le scelte operative.

Negli anni 1973-79 il posto di amministratore delegato fu occupato da Umbero Nordio (che poi divenne presidente dal 1978-88) e sotto la sua gestione si verificarono pesanti conflitti sindacali, come il famoso sciopero di 40 giorni degli Assistenti di Volo del Comitato di Lotta, oppure lo sciopero dell’81 dei piloti (Aquila Selvaggia) che portò alla loro prima precettazione.

La prima grande crisi petrolifera mise a dura prova le compagnie aeree e l’Alitalia non ne fu risparmiata, ma …. i bilanci venivano chiusi in attivo, anche se per ottenere un simile risultato si procedeva con operazioni di svendita di beni (aeromobili) e di servizi (cessione all’esterno) che iniziarono ad “impoverire” la compagnia proprio in un momento cruciale del trasporto aereo. Inoltre, alla fine degli anni ’70 (per l’esattezza nel ’78) negli Stati Uniti partì la deregulation che in breve tempo avrebbe sconvolto il mondo dell’aviazione civile. Mentre tutte le altre compagnie aeree facevano sforzi enormi (supportati dai Governi) per adattarsi ai nuovi scenari, l’Alitalia continuava ad operare solo in funzione delle esigenze politiche di turno fregandosene d’impostare piani industriali idonei a traghettarla verso la competitività richiesta in un mercato dei cieli globalizzato … l’unica preoccupazione era chiudere il bilancio in pareggio, o con poco passivo!

Si arriva così ai momenti di crisi patologica, i conti della compagnia, mai particolarmente buoni se messi in confronto con la concorrenza, cominciarono a peggiorare seriamente nel corso degli anni ’90, anche a causa dell’influenza politica nella gestione aziendale.

Nel 1996 avvenne la prima privatizzazione, sotto il governo Prodi, ma il Tesoro mantenne una partecipazione di maggioranza nella compagnia.

Nel 2001, in seguito agli attentati di New York, tutto il settore delle linee aeree subì una grossa crisi.

A differenza di altre compagnie aeree, Alitalia non riuscì a risollevarsi dalle perdite subite nel corso degli anni successivi. Dopo che il governo francese annunciò la privatizzazione di Air France e la sua fusione con KLM, Alitalia restò l’unica compagnia europea a controllo statale.

Nel 2006 l’azienda era ormai vicina al fallimento e per salvarla il governo Prodi decise di vendere una parte delle quote che erano ancora in mano al Tesoro, cedendo così il controllo della compagnia. La gara per acquistare il 39% delle azioni offerte dal governo andò deserta.

A detta di parecchi esperti, la causa principale furono i molti paletti che erano stati messi alla trattativa: il governo del mortadella la voleva vendere come un’azienda sana e non decotta, all’epoca il ministro che si occupò della gara fu Pierluigi Bersani.

Giusto per ricordarci i danni di Prodi & C. al nostro Paese, come ho già detto se me lo ritrovo come Presidente della Repubblica divento apolide.

Ma nel 2007 Prodi non demorde e cerca di appioppare il cancro ad Air France-KLM, che dal 21 dicembre 2007 divenne l’interlocutore unico di Alitalia. L’offerta finale concordata tra le due parti nelle settimane successive consisteva nel pagamento da parte di Air France di 1,7 miliardi di euro, nell’accordo con i sindacati per l’esubero di 2.100 lavoratori e nella riduzione della flotta a 149 aerei. Tra le altre clausole c’era anche la conservazione di tutte le rotte che Alitalia deteneva all’epoca.

A marzo 2008 il governo accettò le condizioni della trattativa, ma i sindacati prima, Air France-KLM  poi, ritirarono la loro adesione.

Air France probabilmente a causa delle parole di Silvio Berlusconi: bisogna «preservare l’italianità della compagna».

Prodi cade, vince Berlusconi, per Air France impossibile continuare le trattative con queste premesse, perchè comprese che il governo italiano sarebbe stato ostile e quindi decise di rinunciare all’acquisto. Il presidente di Air France-KLM riassunse così la scelta della compagnia: «In questo settore nessuna operazione di questo tipo si può fare in modo ostile e contro un governo».

Ed ecco il coup de théâtre di Tremonti: costituire la cosiddetta CAI, Compagnia Aerea Italiana, una società presieduta dall’imprenditore Roberto Colaninno e composta, tra gli altri, dal gruppo Benetton, dal gruppo Riva (la famiglia proprietaria dell’ILVA), dal gruppo Ligresti, da quello Marcegaglia, dalla famiglia Caltagirone attraverso la società Acqua Marcia (mai abbinamento di nomi fu più azzeccato), dal gruppo Gavio e da Marco Tronchetti Provera.

IL TUTTO PER 700 MILIONI DI EURO IN MENO RISPETTO ALLA PROPOSTA DI AIR-FRANCE.

Anzi, probabilmente anche meno, visto che questi grandiosi imprenditori sganciarono solo 300 milioni di euro, lasciando sul groppone dei contribuenti la bad company, il cui costo fu valutato circa 2 MILIARDI DI EURO.

Esattamente due anni fa, scadde il lockup sulle azioni Alitalia, cioè il divieto degli azionisti di vendere le loro quote. All’epoca, i maggiori azionisti erano quelli qua sotto elencati, che avevano “cordialmente e disinteressatamente” partecipato alla cordata CAI per rilevare SOLO gli assets positivi di Alitalia, che formalmente diventò una bad company, il cui debito è tutt’ora sulle spalle dei cittadini. Qualcuno ci vede una partecipazione pubblica?

– AIR FRANCE-KLM 25%
– RIVA 10,6%
– INTESA SANPAOLO 8,9%
– BENETTON/ATLANTIA 8,9%
– COLANINNO/IMMSI SPA 7,1%
– TOTO 5,3%
– ANGELUCCI 5,3%

– FONDIARIA SAI 4,4%
– EQUINOX SARL 3,8%
– CARBONELLI 3,1%
– D’AVANZO 2,7%
– ACQUA MARCIA FINANZIARIA 1,8%
– GAVIO 1,8%
– PIRELLI & C. 1,8%
– GFMC 1,8%
– MACCAGNI 1,4%
– VITROCISET 1,3%
– TRAGLIO/AURA HOLDING 1,3%
– FONDO INTESA OTTOBRE 2008 1,2%
– MANES/12 CAPITAL PORTFOLIO 0,9%
– MARCEGAGLIA SPA 0,9%
– LORIS FONTANA & C. 0,9%

Io no, però vedo i nomi dei soliti noti, oltre alla partecipazione di Air France, candidata ad acquistare Alitalia ma a cui fu posto un divieto da Tremonti per mantenere l’italianità della compagnia: e stica… maggiore azionista, capirai che mossa geniale quella di CAI.

Forse non ve lo ricordate, ma la partecipazione di Banca Intesa-Passera apportò gentilmente un altro cancro, Air One, sull’orlo della bancarotta, verso cui la banca suddetta era molto esposta, ma essendo compagnia privata, per rispetto delle normative europee, non poteva ottenere aiuti di Stato (fatemi capire, Fiat era pubblica???).

Ma suvvia, noi siamo italiani, fatta la legge, trovato l’inghippo no? Si crea una nuova società, spacciandola nell’immaginario collettivo come pubblica semplicemente legandola al divieto di vendere per le quote per cinque anni, importo minimo investito per ciascun socio € 10.000 ( ma la cordata non era aperta a tutti), vi si butta dentro solo il patrimonio netto di due aziende fallite, Alitalia e Air One appunto, lasciando i debiti in una bad company sulle spalle statali, quella si, e si autorizza un piano di rilancio.

In realtà questo piano fondamentalmente porta a due cose: lo spostamento dell’hub principale a Roma, con la perdita di svariati posti di lavoro a Malpensa e aggiunta di costi per i passeggeri che per volare con Alitalia verso qualunque destinazione estera si trovavano a dover farvi scalo, e quindi ovvia perdita di traffico per motivi economici, ed esuberi continui di personale, effettuati sempre grazie ad ammortizzatori sociali statali. 

Pare strano che i veri dati della nuova Alitalia siano stati svelati solo poco tempo prima la scadenza del divieto di vendere le quote? Non direi, perchè ai “grandiosi capitalisti privati scesi in campo per spirito nazionale”, a fronte di un investimento che chiunque di noi avrebbe potuto fare, viene servita sul vassoio d’argento la scusa per liberarsi di quelle azioni, concretizzando un margine di guadagno allucinante.

I dati nel 2013 parlavano di perdite per 630.000 euro al giorno, debiti per 700 milioni di euro e solo 300 milioni di euro in cassa, davvero una bazzecola per garantire l’operatività di una compagnia con ambizione RIDICOLA di essere leader del mercato.

Una delle più importanti compagnie statali messa in mano della “creme” dell’imprenditorialità italiana, che ha fruito di notevoli aiuto dal Tesoro, partita solo con patrimonio e crediti e senza alcun debito, che in meno di cinque anni ha una débâcle del genere? 

Più scrivo più mi vergogno di quello che è diventato questo Paese.

E per decenza sorvolo su tutte le fuoriuscite milionarie dei vari Amministratori che, nonostante i risultani fallimentari, sono gravate sulle nostre tasche.

Arriviamo alla cronaca degli ultimi anni: a Dubai, il 3 febbraio 2014, il premier Letta è a colloquio con il primo ministro degli Emirati Sheik Mohammed bin Rashid Al Maktoum,  il proprietario di Etihad. Passione per il volo. E per il calcio: la sua famiglia possiede il Manchester City. Si tratta sulla cessione di Alitalia.

Etihad, oltre ad aver assunto già molti piloti italiani, ha fatto shopping in tre continenti: ha acquistato il 26 per cento dell’indiana Jet Airways (600 milioni di dollari), il 17,4 di Virgin Australia, più il 29 di Air Berlin (105 milioni più 225 di prestiti) e il 40 per cento di Air Seychelles. E ancora il 49 per cento di Air Serbia (100 milioni), un terzo del capitale dell’elvetica Darwin Airlines più una piccola quota dell’irlandese Air Lingus.

Lufthansa ha attaccato il progetto di alleanza tra Etihad Airways e Alitalia, definendolo una forma di aiuto di Stato mascherato. «Noi chiediamo alla Commissione Ue – è la richiesta dei tedeschi – di proibire tali tattiche di aggiramento»

Ma questa volta ai tedeschi va male: l’accordo viene firmato a fine agosto del 2014. Finisce l’era delle divise disegnate da Armani, comincia quella dei burka.

La storia però non cambia. 

Fate bene attenzione.

Nell’accordo sono previsti esuberi per oltre 2.000 persone; stiamo parlando di una compagnia aerea IN TOTALE POSSESSO DI AZIONISTI PRIVATI, I CAPITANI CORAGGIOSI CAI, EPPURE E’ IL GOVERNO ITALIANO A CHIUDERE LE TRATTATIVE.

Per salvare la compagnia italiana dal fallimento il vettore di Abu Dhabi ha posto alcune condizioni. Una di queste riguarda i lavoratori. Il cui numero, ha chiesto, va ridotto di 2.171 unità. Detto, fatto. Governo e sindacati hanno accettato la richiesta e l’operazione è andata in porto. Tutto chiaro? Mica tanto.

Non tutti i lavoratori finiranno senza impiego. Dei 2.171 dipendenti in esubero, ha assicurato il governo, oltre mille verranno ricollocati in altre aziende, mentre a 250 assistenti di volo toccheranno i contratti di solidarietà.

Saranno dunque circa 980 i dipendenti costretti a rimanere a casa con le mani in mano.

Poveri loro, si dirà: un normale lavoratore in mobilità può arrivare a percepire al massimo un assegno da 1.100 euro al mese per due anni. Ma quelli dell’Alitalia non sono mai stati considerati come tutti gli altri. Loro sono speciali. E infatti, anche questa volta, potrebbero risultare più fortunati: fino a cinque anni di mobilità all’80 per cento dello stipendio.

Formula che, per un pilota con oltre 50 anni di età, significa poter incassare circa 6 mila euro al mese per il prossimo lustro. Ovviamente senza lavorare.

Dal 2008 a oggi la compagnia di bandiera ci è costata 6,5 miliardi. Ma ora anche la vendita peserà su contribuenti e viaggiatori. Grazie a uno speciale sussidio

Chi salderà il conto finale?

Tecnicamente, il Fondo speciale per il trasporto aereo.

In pratica, a pagare saranno tutti i viaggiatori, visto che questo Fondo è alimentato quasi interamente dalla tassa di tre euro versata da ogni passeggero in partenza da un aeroporto nazionale.

Martedì 23 dicembre è stato definitivamente siglato l’accordo per la nascita della nuova Alitalia targata Etihad. La compagnia degli Emirati Arabi ha sottoscritto l’aumento di capitale da 387,5 milioni di euro con cui acquisisce il 49% della compagnia ribattezzata Alitalia Sai (Società aerea italiana) che sarà operativa dal primo gennaio 2015. Il restante 51% della società sarà posseduto dalla vecchia Cai delle banche e dei “patrioti” sopravvissuti (tra i quali la Immsi diRoberto Colaninno e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera) attraverso MidCo, che ha conferito le attività e le passività per la continuazione dell’operatività della compagnia aerea.

Il nuovo che avanza? Il Presidente, Luca Cordero di Montezemolo, pluripagato ex AD della Ferrari, un’altro che di aiuti statali se ne intende parecchio.

E COSI’, VIA AI SALDI INVERNALI. 

LA CORDATA CAI HA GUADAGNATO CIRCA IL 400% DEL SUO INVESTIMENTO, I CONTRIBUENTI ITALIANI PAGHERANNO LE LORO PERDITE, O MEGLIO, LO SPOGLIO DEL PATRIMONIO AZIENDALE.

SI SPERA ALMENO DI ESSERSI LIBERATI DEL BUBBONE ALITALIA. 

MAH, SI SA… DOPO I SALDI INVERNALI, ARRIVANO QUELLI ESTIVI… 

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